Clima: vecchie e nuove sfide a 5 anni dall’Accordo di Parigi

Il 12 dicembre 2015 ben 196 Stati sottoscrivevano gli impegni contro gli effetti dei cambiamenti climatici, aprendo a una visione storica di solidarietà ambientale: lo sottolinea l’esperto di economia dell’energia, Andrea Carlo Bollino, spiegando che non basta parlare solo di idrocarburi, ma bisogna guardare anche alle nuove tecnologie. L’Onu chiede che tutti gli Stati dichiarino l’emergenza climatica

Fausta Speranza – Città del Vaticano

L’Accordo di Parigi è un’intesa tra gli Stati membri della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc) e riguarda la riduzione di emissione di gas serra e la finanza a partire dall’anno 2020. Il contenuto dell’accordo è stato negoziato dai rappresentanti di 196 Stati alla XXI Conferenza delle Parti dell’Unfccc a Le Bourget, vicino Parigi, in Francia, e sottoscritto il 12 dicembre 2015.

L’obiettivo centrale dell’Accordo

Nel lungo periodo si vuole contenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto della soglia di 2 °C oltre i livelli pre-industriali, e limitare tale incremento a 1.5 °C, poiché questo ridurrebbe sostanzialmente i rischi e gli effetti dei cambiamenti climatici.

Il legame forte con la povertà

L’obiettivo riportato dai documenti è anche quello di “rafforzare la risposta globale alla minaccia dei cambiamenti climatici, in un contesto di sviluppo sostenibile e di sforzi per sradicare la povertà”. L’accordo mira infatti ad “aumentare la capacità di affrontare gli effetti negativi dei cambiamenti climatici e ad aiutare i Paesi in via di sviluppo a sostenere i costi dell’adattamento”.

Le strategie

L’accordo prevede l’istituzione di un quadro di maggiore trasparenza per l’azione e il supporto, con una flessibilità che tenga conto delle diverse capacità delle Parti. Lo scopo è “fornire una chiara comprensione dell’azione contro il cambiamento climatico” con attenzione a diversi aspetti tra cui “la chiarezza e il monitoraggio dei progressi verso la realizzazione dei contributi a livello nazionale di ciascuna delle Parti”. Tra le altre cose, si prevede la verifica ogni cinque anni, dal 2023, per valutare i progressi verso il raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo. L’intesa, inoltre, riconosce l’importanza di evitare e ridurre al minimo le perdite e i danni collegati agli effetti negativi dei cambiamenti climatici e la necessità di promuovere la cooperazione per migliorare la comprensione, l’azione e il sostegno in diversi campi, come i sistemi di allarme rapido, la preparazione alle emergenze, l’assicurazione contro i rischi, la resilienza delle comunità, dei mezzi di sussistenza e degli ecosistemi. I governi hanno stabilito che lavoreranno per definire una chiara roadmap mirata alla creazione di finanziamenti per il clima di 100 miliardi di dollari entro il 2020 e, ancora prima del 2025, stabilire un nuovo obiettivo più consistente.

L’Onu rilancia l’impegno

Per fare il punto, oggi, su tutti questi aspetti, le Nazioni Unite hanno organizzato il Climate Ambition summit virtuale. Nel fare un bilancio sull’azione dei Paesi contro il ‘climate change’ e stabilire nuovi impegni in vista della Cop26 di Glasgow in programma dal primo al 12 novembre del 2021, il   segretario generale delle Nazioni Unite, Antònio Guterres, ha esortato ogni Paese a dichiarare lo “stato di emergenza climatica”. Al vertice Guterres ha spiegato che lo stato di emergenza dovrebbe rimanere in vigore fino a quando non verrà raggiunta la neutralità climatica, vale a dire fino a quando non verranno più introdotti nell’atmosfera gas serra aggiuntivi. “Qualcuno può forse negare che ci troviamo di fronte a una drammatica emergenza?”, ha detto il segretario generale dell’Onu. Guterres ha anche sottolineato che gli impegni assunti per raggiungere gli obiettivi fissati a Parigi nel 2015 sono insufficienti e, in alcuni casi, ignorati. Se la comunità internazionale non cambierà atteggiamento, ha aggiunto, la Terra potrebbe avviarsi in questo secolo verso un “catastrofico” aumento delle temperature di 3 gradi. Secondo quanto riferito da Guterres, che ha invitato le altre nazioni a fare altrettanto, sono già 38 gli stati che hanno dichiarato l’emergenza climatica. L’Unione europea Ha fatto la sua dichiarazione nel novembre del 2019. Il vertice è co-organizzato da Onu, Gran Bretagna e Francia, in partnership con Cile e Italia.

Delle sfide più attuali abbiamo parlato con Carlo Andrea Bollino, docente di economia internazionale e di economia dell’energia in diversi atenei tra cui l’Università Luiss:

Il professor Bollino innanzitutto ricorda l’importanza dell’Accordo di Parigi, non tanto per gli obiettivi precisi fissati in sé, quanto per l’orizzonte nuovo che ha aperto: cinque anni fa – sottolinea – è stato preso un impegno comune in un’ottica di solidarietà ambientale. Al di là dei propositi espressi prima da vari governi, si è trattato di una rivoluzionaria importante visione della questione dell’ambiente e dei cambiamenti climatici. Ricorda i precedenti accordi di Kyoto per sottolineare la differenza proprio in questo senso. Bollino ricorda che il mondo si sta dirigendo verso un aumento del riscaldamento pari a 3 gradi. La ripresa post Covid, dunque, – raccomanda – dovrà essere “seriamente” green se si vuole evitare il peggio. Per mantenere la speranza di limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi, le emissioni dovrebbero essere ridotte del 7,6 per cento all’anno, ogni anno dal 2020 al 2030, secondo le Nazioni Unite. Mentre sono aumentate in media dell’1,5 per cento all’anno nell’ultimo decennio, raggiungendo un record nel 2019 (59,1 gigatonnellate, o miliardi di tonnellate, ovvero + 2,6 per cento in più rispetto al 2018). Le nuove promesse che arrivano dalla Cina, dal Giappone o dal futuro presidente statunitense – spiega Bollino – potrebbero consentire, se mantenute, di limitare il riscaldamento a +2,1 gradi nel 2100. Comunque sempre peggio rispetto agli obiettivi di Parigi. Sempre secondo i dati concreti, il decennio 2011-2020 sarà il più caldo in assoluto, con i sei anni più caldi a partire dal 2015, secondo l’Organizzazione mondiale della meteorologia (World Meteorological Organization-Wmo), mentre sulle Alpi, in base a uno studio del Cnr, nei prossimi 20-30 anni rischiano di sparire i ghiacciai sotto i 3500 metri.

L’Europa si conferma leader sui temi ambientali

Al Consiglio europeo di questi giorni è stata presa un’altra decisione coraggiosa che – sottolinea Bollino – aumenta le ambizioni dell’Ue nel cammino verso la neutralità climatica: si alza infatti dal 40 al 55 per cento la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra entro il 2030. Una tappa fondamentale per arrivare al taglio totale entro il 2050. A bloccare la decisione, per tutta la notte tra il 10 e l’11 dicembre e nei mesi precedenti a questo accordo definito storico, è stata la Polonia, la cui economia dipende massicciamente dal carbone.

Non solo idrocarburi

Bollino ricorda che la speranza di tutti, in questo anniversario dell’Accordo di Parigi, è che gli Stati Uniti si possano presto riallineare all’Europa. Il presidente eletto, Joe Biden, ha promesso in campagna elettorale che Washington tornerà presto a impegnarsi dopo che Donald Trump aveva rinnegato la firma decisa nel 2015 da Obama. Bollino non mette in dubbio le intenzioni di Biden, ma avverte che non sarà facile per la prossima presidenza Usa, come per altri Paesi, trovare le risorse utili per modificare alcuni termini della produzione industriale. L’esperto di economia dell’energia sottolinea che la scelta green può essere una scelta vincente anche per l’economia reale, ma il punto è che, come sempre, prima di avere la produttività servono investimenti e purtroppo in questa fase di crisi sanitario-sociale non è facile avere la disponibilità degli investimenti che sarebbero necessari e cioè quadruplicati rispetto a quelli ipotizzabili senza scelte verdi. Bollino sottolinea anche che è l’unica via percorribile e che gli Stati Uniti, come altri Paesi, devono avere nell’orizzonte la svolta verde. Poi Bollino sottolinea che nel quadro internazionale non si può dimenticare Paesi come la Cina che si presenta impegnata contro l’uso degli idrocarburi, ma che lo fa producendo tecnologie che presentano incognite preoccupanti per l’ambiente. Bollino fa l’esempio delle batterie per auto elettriche, che, se devono essere prodotte consumando troppo litio, vanno a provocare comunque un danno all’ecosistema. Il litio infatti come il cobalto si estrae da miniere non senza rischi per gli equilibri della popolazione locale. Il punto è – raccomanda Bollino – avere strategie a 360 gradi, che non trascurino i tanti aspetti da considerare nella fondamentale partita da vincere a difesa della vivibilità dell’ambiente.

Effetto lockdown limitato

L’effetto Covid con i lockdown e la riduzione generale delle attività porterà quest’anno a un calo delle emissioni globali del 7 per cento, dato che non si registrava dalla Seconda Guerra mondiale. Nel 2009 la grande crisi portò a una riduzione dell’1,3 per cento. Secondo le proiezioni di quest’anno, le emissioni di Co2 diminuiranno di 2,4 miliardi di tonnellate rispetto all’anno scorso. Stime dei ricercatori del Global Carbon Project, pubblicate dalla rivista Earth System Science Data, secondo cui però “il trend si invertirà subito appena finirà la pandemia”. “E gli esperti concordano: un anno soltanto non cambia nulla in termini di riscaldamento globale. E bisogna capire – sottolinea Bollino – quanto grande sarà il “rimbalzo”, se farà tornare le emissioni ai livelli del 2019 o se andranno più in alto. Negli Usa la diminuzione è risultata del 12 per cento, in Europa dell’11 per cento, in India del 9 per cento mentre in Cina si fermerà all’1,7 per cento. Il periodo di massima diminuzione della produzione di Co2 è stato lo scorso aprile, con -17 per cento.

Aggiornato il 13 dicembre ore 9:00

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2020-12/cambiamenti-climatici-ambiente-unione-europea-accordo-parigi.html