L’assistenza alimentare chiave per promuovere la pace nel mondo

Reportage:  Il senso e il valore del Premio Nobel al World Food Programme

Un riconoscimento per l’impegno da sempre contro la terribile “pandemia delle carestie”. È questo il senso del Premio Nobel per la Pace 2020 assegnato al Wfp (World Food Programme), l’agenzia delle Nazioni Unite che da 75 anni si prefigge di combattere la fame nel mondo. Si devono considerare i successi raggiunti e l’impegno concreto di assistenza nel 2019 a 97 milioni di persone in 88 Paesi. Ma, soprattutto, la presidente del comitato di Oslo, Berit Reiss-Andersen, ha chiarito che si è voluto mettere in luce lo straordinario slancio dell’agenzia di fronte alla diffusione del covid-19: sono stati infatti intensificati gli sforzi prevedendo carestie di “proporzioni bibliche” nel giro di pochi mesi. Il comitato del Nobel, dunque, ha ricordato al mondo che «il cibo resta il miglior vaccino contro il caos».

Per l’epidemia da covid-19, 130 milioni di persone rischiano l’inedia. Si aggiungono agli oltre 800 milioni riscontrati negli ultimi due anni. Ad aprile scorso, il direttore esecutivo del Wfp, David Beasley, aveva dichiarato: «Mentre combattiamo la pandemia, siamo di fronte al rischio di una pandemia di fame, il pericolo reale è che molte persone muoiano più per l’impatto economico del covid-19, che per il virus stesso». Alla notizia del Nobel, Beasley ha commentato definendo il premio «un potente promemoria per il mondo che la pace e l’obiettivo fame zero vanno di pari passo».

In questi giorni il Fondo monetario internazionale ha quantificato i danni della pandemia a livello globale: 28.000 miliardi di dollari bruciati entro i prossimi cinque anni per colpa di una crisi, quella generata dalla pandemia di covid-19, che lascerà cicatrici evidenti almeno nel medio termine, in particolare per quanto riguarda il mercato del lavoro. E con una disconnessione tra mercati finanziari ed economia reale che, se protratta nel tempo, rischia di diventare un altro fattore di criticità della congiuntura globale.
Nell’anno in cui il mondo è stato sconvolto dalla pandemia del nuovo coronavirus, in molti scommettevano sulla vittoria dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). L’annuncio è arrivato il 12 ottobre un po’ a sorpresa: si contavano quest’anno 318 candidati per la categoria (211 erano individui e 107 organizzazioni).

Il premio al Wfp ci ricorda soprattutto che la pandemia passerà, mentre la fame era e resterà un problema globale a prescindere. Sembra che il Comitato di Oslo abbia voluto idealmente ricordare che la fame è  l’estrema conseguenza di molti fenomeni globali, tra i quali la pandemia è solo l’ultimo in ordine cronologico. Nel 2020, si è assistito a una recrudescenza di guerre, crisi economiche, al declino nei flussi di aiuti internazionali e a un drastico calo del prezzo del petrolio, il cui effetto combinato porta a una diminuzione delle scorte alimentari. Sono questi gli elementi su cui occorre lavorare per invertire la rotta ed evitare un disastro globale.
Come ricordato dai leader mondiali durante l’ultima Assemblea generale delle Nazioni Unite, lo scopo principale dell’azione della comunità internazionale deve essere quello di combattere la povertà, in tutte le sue sfaccettature. In primo luogo, le immense diseguaglianze sociali che oggi caratterizzano le nostre società, con ricadute molteplici. Va ricordato che, secondo i dati del Fondo monetario e della Banca Mondiale, la maggioranza dei Paesi del mondo era  impreparata ad affrontare l’emergenza covid: solo 26 dei 158 Paesi analizzati investivano a sufficienza in salute pubblica.

Ma è altrettanto significativo che le politiche sanitarie di Stati Uniti e India, due dei Paesi al mondo più colpiti dalla pandemia, continuano ad escludere centinaia di milioni di persone. Dunque, sono gravi le diseguaglianze tra Stati ma anche quelle all’interno delle società.
Va sottolineato infine che la povertà è anche povertà farmaceutica, ovvero mancato accesso alle cure mediche ed ai medicinali essenziali. È un altro elemento di quella spirale di esclusione e di disuguaglianza che va di pari passo con la povertà e la fame.

C’è poi una povertà che espone ai disastri ambientali.  In troppi contesti mancano, infatti, strutture socio-economiche per prevenire o ridurre al minimo i danni che gli effetti negativi del cambiamento climatico possono causare.  Il fenomeno è sotto gli occhi di tutti nelle drammatiche cronache di catastrofi legate a piogge eccessive, inondazioni, smottamenti, innalzamento del livello del mare e siccità.
Infine, dobbiamo ricordare la povertà di istruzione: un percorso di scolarizzazione è essenziale per sollevare le famiglie e le comunità dal ciclo della povertà. Purtroppo, la pandemia ha influito negativamente anche su questo aspetto, tanto che il tasso di abbandono scolastico  è aumentato drasticamente.       di Fausta Speranza

Osservatore Romano 16 Ottobre 2020