La questione petrolio tra geopolitica e risvolti sociali

Un G20 straordinario a livello di ministri dell’Energia per discutere della questione petrolio, non di poco conto negli scenari problematici per l’economia globale in seguito alla pandemia. L’accordo tra Arabia Saudita e Russia è solo uno dei fattori in gioco di una “partita” geopolitica che coinvolge anche altri attori a livello internazionale e che ha effetti sull’economia reale di molti Paesi tra cui anche quelli emergenti. Con noi l’esperto di politiche economiche Carlo Altomonte

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Ultimo aggiornamento 11.04.2020

Russia e Arabia Saudita hanno concordato una riduzione della produzione del greggio che possa difendere i prezzi. Sembra si tratti di un taglio di 10 milioni barili al giorno per due mesi. E’ quanto contenuto nella bozza d’intesa emersa giovedì nel corso dell’incontro virtuale Opec +, ovvero del cartello dei Paesi esportatori allargato a una serie di membri esterni. L’accordo prevede che Riad riduca la sua produzione di quattro milioni di barili al giorno, Mosca di due milioni e che tutti i membri si impegnino per una compressione del 23 per cento. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump nei giorni scorsi aveva fatto pressione affinché si arrivasse al compromesso spiegando che anche la produzione record degli Stati Uniti si ridurrà “automaticamente” in base alla domanda di mercato. Mosca chiede che Washington faccia di più.

In video conferenza i ministri del G20

Dopo settimane di tensione che hanno provocato il crollo dei listini e la possibile intesa tra Riad e Mosca, di petrolio si  è parlato al G20 straordinario dei ministri dell’Energia presieduto ieri dall’Arabia Saudita senza il raggiungimento di alcuna intesa nonstante l’intesa parziale tra Stati Uniti e Messico. Dei protagonisti degli equilibri geopolitici coinvolti, delle possibili ripercussioni anche sulle economie di tanti Paesi in Medio Oriente, in Africa, in America Latina, ma anche del piano finanziario, e dunque degli scenari di rischio per la Borsa di New York, o delle prospettive di energie rinnovabili da non perdere di vista nell’emergenza pandemia, abbiamo parlato con Carlo Altomonte, docente di Politiche economiche all’Università Bocconi:

Gli sviluppi di settimane di tensione

In questo inizio di anno segnato dall’epidemia in Cina e poi dalla pandemia, il prezzo del greggio ha avuto significative oscillazioni, dopo anni in cui ci ha abituato a ridimensionare il valore sul mercato. Il 9 marzo i sauditi, primi produttori al mondo, hanno deciso a sorpresa di aumentare la produzione deprimendo ulteriormente i prezzi già in caduta libera per il collasso della domanda (in particolare cinese) causato dall’epidemia. L’annuncio ha causato il crollo del prezzo, sia sul mercato azionario che obbligazionario, più pronunciato dal 1991, ovvero dalla prima guerra del Golfo. La settimana precedente Mosca aveva respinto la richiesta dell’Opec di tagliare la produzione per sostenere i corsi, sciogliendo di fatto un patto di mutuo soccorso siglato quattro anni fa.

Gli interessi geopolitici

Il crollo del prezzo conseguente alla decisione di Riad, secondo gli analisti, poteva avere ripercussioni anche per gli Stati Uniti: che scommettono da tempo sullo shale oil, cioè un petrolio non convenzionale prodotto dai frammenti di rocce di scisto bituminoso. Si tratta di una tecnica sostenibile se il prezzo del greggio estratto non scende sotto i 50 dollari al barile. A Mosca potrebbe non dispiacere vedere in difficoltà su questo tema Washington che ha imposto sanzioni su Rosneft, la compagnia petrolifera di proprietà in maggioranza del governo russo, ma il danno per le casse della Russia sarebbe stato oneroso.

I rischi per i Paesi emergenti

La questione petrolio ha ripercussioni di tipo geopolitico – ne sono investiti in particolare Arabia Saudita, Russia e Stati Uniti – ma non solo: ci sono profonde ripercussioni anche per l’economia di alcuni Stati meno protagonisti sullo scacchiere internazionale. Basti pensare alle difficoltà in Venezuela, dove il tracollo economico degli ultimi anni ha certamente anche altre radici tra cui un’economia troppo dominata dalla risorsa del greggio, ma sicuramente ha avuto un ruolo estremamente significativo il crollo del prezzo. A catena, ci sono state ripercussioni e ci potrebbero essere in futuro per Paesi emergenti, in Medio Oriente, in Africa, in Indonesia.

Non dimenticare l’impegno per le energie rinnovabili

La Banca europea per gli investimenti smetterà di finanziare progetti basati su petrolio, gas e carbone nel 2021. E’ solo uno degli impegni previsti a livello di Unione europea per dirottare l’economia verso il consumo di energie rinnovabili, per contrastare i disastri provocati dall’inquinamento dei combustibili fossili. Sappiamo che i Paesi emergenti non saranno pronti a una conversione verso un’economia verde per almeno i prossimi dieci anni, ma è fondamentale che l’Europa porti avanti nel mondo questa battaglia. Il rischio è che nella crisi economica in conseguenza della pandemia proprio per il vecchio continente scarseggino le risorse per puntare a un’economia verde. In realtà, l’infezione da Covid 19 mostra al mondo i rischi di alterazioni dei cicli naturali. Sembra emergere, tra l’altro, un dato: la polmonite interstiziale causata dal coronavirus è stata più letale in zone ad alto inquinamento.

da Vatican NEWS del 10 aprile