Il consumo oltre il Pianeta

Già in rosso il bilancio annuale tra produzione e sfruttamento delle risorse naturali

Lo chiamano Earth Overshoot Day e quest’anno è arrivato il 29 luglio, con due giorni di anticipo rispetto al 2018. È il giorno in cui il bilancio tra la produzione di risorse nel mondo e il consumo segna un’allerta. In meno di sette mesi, il pianeta ha già consumato già quello che avrebbe dovuto adoperare in dodici. Da qui in poi, in qualche modo, andiamo in deficit: ricorriamo a riserve, attingiamo a quanto spetterebbe alle prossime generazioni. Il calcolo è scientifico, elaborato dall’organizzazione Global footprint network (Gfn). La riflessione dovrebbe coinvolgere qualunque ambito sociale e politico, spaziando dai numeri all’etica.

Trent’anni fa il «giorno-limite» cadeva in ottobre, vent’anni fa verso la fine di settembre. L’anticipo di questi giorni si quantifica in un dato inquietante: l’impronta ecologica dell’uomo, in media in tutto il mondo, consumerà nel 2019 le risorse che spetterebbero a 1,75 pianeti. Significa ammettere che le conseguenze sono, senza mezzi termini, distruttive.

Secondo il Gfn, sono quattro i fattori chiave che configurano la domanda di risorse di un Paese: come l’amministrazione gestisce l’edificazione in particolare delle città; come fornisce energia; quali sono gli standard nutritivi dei suoi cittadini; quanti abitanti conta rispetto al territorio.

L’organizzazione continua ad accompagnare l’allarme, ogni anno, con le misure utili per invertire la tendenza. Insieme con altre 30 organizzazioni nate in diverse parti del mondo, l’associazione Gfn ha lanciato la campagna «Steps to #MoveTheDate», che indica cinque ambiti su cui poter incidere: energia, cibo, città, popolazione, e pianeta. Si propongono alcune azioni concrete da mettere in pratica subito, spiegando di quanto potrebbero limitare i danni.

Innanzitutto, tra le raccomandazioni si legge l’invito a ridurre la componente delle emissioni di co2 del 50 per cento, che sposterebbe la data di ben 93 giorni. Poi c’è il suggerimento di sostituire il 50 per cento di consumo di carne con una dieta vegetariana, che — sempre secondo i calcoli e se messo in atto da tutti — contribuirebbe a spostare la data di 15 giorni.

Non si tratta solo di un discorso di sopravvivenza del pianeta, ma anche di qualità della vita. Mathis Wackernagel, co-inventore della contabilità dell’impronta ecologica e fondatore del Global footprint network, assicura che «le aziende e i Paesi che comprendono e gestiscono la realtà dell’operare in un contesto planetario sono in una posizione di gran lunga migliore nell’affrontare le sfide del xxi secolo».

Ma c’è un discorso anche strettamente personale. Rientra nella campagna anche il «footprint calculator», strumento che permette di calcolare la personale impronta ecologica oltre che l’Overshoot day personale.

Tra il punto di vista globale e quello personale, l’analisi può farsi macroregionale. È evidente che l’impatto ambientale mette sempre più in sofferenza i territori della Terra già ampiamente destabilizzati a causa di siccità, deforestazione e desertificazione. Ma ci sono poi altre aree da fotografare. Si distinguono, infatti, tristemente sul mappamondo le zone degli Stati Uniti e dell’Europa: se tutti vivessimo come gli abitanti degli Usa — dove si stima che ogni cittadino sprechi 95 chilogrammi di cibo l’anno e dove le emissioni dei cosiddetti «Greenhouse Gas» derivanti dai combustibili fossili, dalla produzione di elettricità e dai trasporti, sono tra le più alte del mondo — avremmo bisogno di ben cinque pianeti. Ma i Paesi dell’Unione europea non possono sentirsi tanto più virtuosi: hanno raggiunto già a metà maggio la data che sancisce lo sfruttamento di tutte le risorse naturali in grado di essere rigenerate in un anno e il consumo arriverebbe a quanto dovrebbero assicurare due pianeti. Secondo i dati, l’Unione europea, nonostante ospiti solo il sette per cento della popolazione mondiale, consuma quasi il 20 per cento della biocapacità della Terra. La nazione che per prima ha esaurito le risorse a disposizione è stata la più ricca d’Europa, il Lussemburgo. Un dato che torna in altre aree del mondo: anche spostandosi fuori del vecchio continente, in testa alla classifica dei maggiori consumatori si trova un Paese piccolo, il Qatar.

C’è una lista anche dei Paesi più green e vi figurano Giamaica e Vietnam: si calcola che se tutti avessero lo stesso standard di consumo di questi due Paesi, le risorse verrebbero esaurite non prima di metà dicembre.

In generale, gli esseri umani stanno degradando gli ambienti naturali e i servizi ecosistemici. E, se la tendenza a sfruttare tali risorse come se non ci fosse un domani potrebbe risalire all’Homo Sapiens, indubbiamente è stata esponenzialmente esacerbata dall’avvento del consumismo e da un concetto di crescita a tutti i costi. Da anni non manca la voce della scienza a ricordarlo. In quanto a responsabilità, nessuno si senta escluso.

L’Osservatore Romano, 30 luglio 2019