L’ora del mancato accordo

Il parlamento ha respinto per la terza volta il piano May e il Regno Unito ha tempo solo fino al 12 aprile per evitare una Brexit “no deal

di Fausta Speranza

«Un momento storico senza un ritorno indietro possibile»: con queste parole, il 10 novembre 2017, il premier britannico Theresa May indicava la data e l’ora precisa in cui il Regno Unito avrebbe detto addio all’Unione europea: alle 23 (ora di Greenwich) del 29 marzo 2019, a due anni esatti di distanza dall’avvio del processo. Ma il 29 marzo 2019 non viene consegnato alla storia come data della Brexit. Piuttosto, resta negli annali come il giorno della terza sconfitta del premier May in parlamento. Un verdetto che apre uno scenario di crisi per il Regno Unito. Il governo britannico dovrà comunicare a Bruxelles come intende procedere entro il 12 aprile, termine fissato al momento per la Brexit, che a meno di novità scatterà no deal, senza un accordo sulle relazioni future. Con uno scarto di 58 voti, la camera dei comuni ha respinto ieri pomeriggio il piano concordato tra il governo Tory e Bruxelles a novembre scorso, già bocciato a gennaio, emendato ma poi respinto di nuovo a febbraio. Ieri è stato sottoposto al voto dei comuni solo nella sua parte originale scorporata dalla dichiarazione sulle intenzioni per il futuro. «È l’ultima opportunità per garantire la Brexit», aveva dichiarato poco prima Theresa May: il risultato è stato 344 voti contrari contro 286. Una bocciatura, anche se bisogna ricordare che nel caso della prima votazione lo scarto era stato ben più clamoroso: 230 voti. Di fatto, il pronunciamento di Westminster di ieri apre all’incubo no deal. Le alternative possibili sembrano essere rappresentate da un ulteriore rinvio della Brexit o da elezioni anticipate, viste da molti come l’unico modo per superare l’impasse. Theresa May rifiuta di fare un passo indietro, anzi da Downing Street arrivano voci di un tentativo del premier di ottenere un quarto voto in parlamento: l’accordo potrebbe essere riproposto la settimana prossima a Westminster in un ballottaggio con il piano B alternativo d’iniziativa parlamentare che dovesse emergere dalla nuova sessione di «voti indicativi» dell’aula di lunedì. Mentre i Comuni tenevano la riunione straordinaria per votare, ieri di fronte al parlamento, si sono riunite migliaia di manifestanti per chiedere «Brexit, adesso». Ma, se si considera la piazza, bisogna anche ricordare la manifestazione di un milione di persone — sabato 23 marzo nel centro di Londra — che chiedevano un nuovo referendum. Hanno partecipato anche il sindaco di Londra, Sadiq Khan, e il leader dei Liberal Democratici, Vince Cable. Finora, però, conservatori e laburisti, tra cui lo stesso leader Jeremy Corbyn, hanno escluso, in un modo o nell’altro, la possibilità di un secondo referendum. A questo punto — soprattutto nella prospettiva di un rinvio a lungo termine e di nuove elezioni — tutto sembra tornare possibile, circa un anno e mezzo dopo l’annuncio della data per la Brexit, quando Theresa May spiegava che «l’indicazione precisa dell’ora» doveva indicare a tutti «le intenzioni precise» del Regno Unito.

L’Osservatore Romano, 31 Marzo 2019