Nuovi imprenditori agricoli

L’Ifad rilancia l’impegno per le zone rurali puntando su tecnologia e innovazione

di Fausta Speranza

Portare avanzata tecnologia e spirito imprenditoriale nelle aree più rurali: è la sfida che lancia quest’anno l’Ifad, con l’obiettivo di sempre di combattere povertà e fame nel mondo e in particolare nei paesi in via di sviluppo. Al consiglio dei governatori del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo, che si terrà il 14 e il 15 febbraio a Roma, si parlerà dunque di “agrimprenditori”. Ma in realtà la vera novità è che per la prima volta sarà presente il Papa.  Francesco, infatti, giovedì mattina parlerà a capi di stato, ministri, leader mondiali alla cerimonia di apertura della più importante riunione annuale dell’Ifad.

 In inglese suona “agripreneurs”, da agriculture entrepreneurs e sarà questo precisamente il termine con il quale si discuterà, nel consesso internazionale, del ruolo che gli investimenti in tecnologia, innovazione e sviluppo delle piccole imprese possono svolgere, per affrontare alcune delle sfide più persistenti al mondo in materia di povertà e fame nelle aree più remote.

 Da quarant’anni l’Ifad, che è un’istituzione finanziaria internazionale e un’agenzia specializzata delle Nazioni Unite, punta alle popolazioni rurali per consentire loro di ridurre la povertà, aumentare la sicurezza alimentare, migliorare i livelli nutrizionali e rafforzare la resilienza. Dal 1978 sono stati investiti 20,4 miliardi di dollari in donazioni e prestiti a tassi agevolati per finanziare progetti di cui hanno beneficiato circa 480 milioni di persone. Molto è stato fatto ma molto resta da fare: rispetto al 1990, 216 milioni di persone in meno soffrono la fame. Ma in ogni caso oggi si contano ancora 795 milioni di persone  nel mondo che non hanno abbastanza da mangiare.

 Nell’ambito dell’impegno a cercare di disegnare un futuro sicuro dal punto di vista alimentare, nel 2011 è nato il Forum internazionale dei Popoli indigeni. Si tratta di una piattaforma di dialogo permanente tra i rappresentanti dei popoli indigeni, l’Ifad e i governi internazionali. L’obiettivo è ascoltare voci che vivono sul territorio i risvolti concreti di questioni importanti, come  le ripercussioni dei cambiamenti climatici. Non si può lasciare che su queste problematiche  si esprimano solo i leader mondiali. È innegabile la  stretta relazione con l’ambiente che hanno i popoli indigeni:  sono i custodi della maggior parte della biodiversità del pianeta.

 Il Forum anticipa il consiglio dei governatori e infatti si apre oggi, presso l’Ifad. Quest’anno si concentra sulla promozione dell’utilizzo delle conoscenze e delle innovazioni e, dunque, concretamente, si discute di come aiutare, finanziariamente e non solo, le istituzioni e le organizzazioni indigene a puntare su giovani e donne delle loro comunità. Ci voglio investimenti ad hoc per assicurare conoscenze  tecniche e tecnologiche e ci vogliono finanziamenti anche per mettere a punto il lavoro di mappatura e difesa delle loro terre, dei loro territori, delle loro risorse.

 Ma non si tratta solo di insegnare: stando ai documenti relativi ai Forum precedenti, si capisce che c’è molto da imparare. Si scopre che le comunità indigene del Bangladesh, che hanno dovuto affrontare in tempi recenti particolari inondazioni dovute all’innalzamento del mare, hanno sviluppato capacità di coltivare varietà di canne resistenti al sale, frutta e alberi resistenti alla siccità. In Tunisia, dove il problema sono le scarse scorte di acqua per l’irrigazione, le popolazioni Amazigh usano il sitema degli jessour, una capillare organizzazione agricolo-territoriale basata su particolari dighe destinate a trattenere sia l’acqua piovana sia i detriti di sbriciolamento delle aride montagne circostanti, permettendo la coltivazione di olivi, alberi da frutto e cereali. Ci sono, poi, scelte lungimiranti in tema di foreste.

I Miskito del Nicaragua mantengono rigorosamente tre distinzioni: i campi coltivati, quelli dedicati al pascolo e il territorio della foresta. Sembra una scelta banale, ma  in realtà è un esempio di strategia lungimirante. E sull’isola di Borneo, i Daiacchi usano una terra fatta a mosaico con zone rurali e foresta. In questo caso, sembra emergere più evidente il valore della creatività, che può segnare il filo rosso ideale tra tradizioni antiche e innovazioni tecnologiche.

L’Osservatore romano, 13 Febbraio 2019