È accaduto, può accadere di nuovo

Insieme ai ragazzi del Treno della memoria durante la visita nel campo di Auschwitz

dal nostro inviato Fausta Speranza

Ad Auschwitz non si trovano risposte, piuttosto nascono sempre nuove domande. È questo il sentire dei ragazzi del Treno della memoria che abbiamo accompagnato nella lunga visita al campo di concentramento voluto dai nazisti nell’Alta Slesia, in Polonia. La domanda più sofferta è come si sia potuti arrivare a così tanta disumanità teorizzata e orchestrata in dettagli angosciosi. Ma l’interrogativo più inquietante è se qualcosa di simile possa ripetersi. Sofia sintetizza: «Oggi si sentono troppi slogan estremisti, campagne di odio mediatico, giustificazioni a naufragi di esseri umani nel Mare nostrum: è qualcosa di simile a criminalizzare un uomo solo per la sua nascita».

Unica via possibile è studiare il contesto, l’humus che ha dato vita all’odio razziale contro gli ebrei, che in Germania negli anni Trenta del secolo scorso rappresentavano lo 0,8 per cento della popolazione. Continuare a studiare cosa abbia incanalato frustrazioni, scontento sociale e valutare quante industrie abbiano guadagnato nell’affare dei forni crematori o del gas letale può regalare il giusto sguardo interlocutorio sul presente.

Certamente vedere quei sassolini dentro una teca che sono ciò che resta di una produzione massiccia di Zyklon B, l’agente fumigante con cui si pensava di mettere a punto la “soluzione finale”, non lascia indifferenti. E sapere che non si moriva all’istante nelle camere predisposte è solo uno dei pugni allo stomaco che si riceve in questo campo di desolante dolore e di morte. E non si sveniva: se avevi la fortuna di essere vicino al bocchettone del gas morivi in pochi istanti ma tutti gli altri avevano anche 15 minuti di atroci sofferenze prima di trovare la morte. I giovani non smettono di ripetere che le atrocità compiute su uomini e donne inermi sono note, ma certamente trovarsi sullo scenario di Auschwitz è «un’esperienza unica».

L’incredulità ti accompagna nell’area di lavori forzati definita Auschwitz I e nell’area di Monovitz, prima e ultima a essere state ultimate. E l’incredulità resta, mista a insopportabile sgomento, quando cammini tra le rovine dell’area di Birkenau, voluta e usata espressamente per lo sterminio degli ebrei. Nei commenti dei ragazzi torna lo stupore per dettagli che si fissano come pungoli nella mente. Alcuni non riescono a dimenticare che prima dell’ingresso nelle camere a gas c’era una piccola vaschetta per sciacquare i piedi. «Perché?» si chiede Antonio. Come si poteva, costruendo quell’orrore, pensare di conservare una misura igienica che appartiene — sottolinea Antonio — al mondo dello svago nelle piscine. E ancora: nel Blocco ii adibito a carcere e a luogo di tortura c’era il riscaldamento perché è quanto prevedeva la legge del Terzo Reich per i luoghi di detenzione. Nel gelo dell’inverno nelle capanne di Auschwitz, quelle tre stanzette per condannati, 90 centimetri per 90, erano riscaldate. Giulia è sconvolta. Nulla l’ha sconvolta come «quel dettaglio terrificante». Si chiede: «Come si poteva parlare di rispetto della legge?». Forse la consapevolezza più doverosa che sta maturando in Giulia è in questa metafora: l’orrore è stato voluto pretendendo di stare nella legge.

La storia dell’uomo è costellata di violenze, soprusi, perfino stermini. Ma il campo di Auschwitz non lascia scampo all’angoscia perché risale a solo 80 anni fa e soprattutto perché tutto è stato concepito, nonché tollerato dal popolo tedesco, in una logica di pianificazione, di strategia: in una combinazione diabolica e unica di ideologia, burocrazia, tecnologia. Ad Auschwitz tutto è stato scientifico. Non si riesce a dimenticare la teca che conserva le due tonnellate di capelli di donna ritrovati nel campo all’arrivo delle truppe russe a fine gennaio 1945 solo perché non avevano fatto in tempo a partire: tutto era perfettamente efficace, infatti, nella catena industriale che li riciclava in tessuti, come riciclava o smaltiva altro. Scientifico anche l’invito delle guardie ai condannati a memorizzare il numero del gancio cui lasciare i vestiti prima della “doccia” per far prima a ritrovarli: serviva a tranquillizzare le persone per non avere caos. Le giovani madri, che sarebbero state abili al lavoro, spesso venivano mandate a gas con i loro neonati perché — è scritto nelle registrazioni che parlano sempre solo di processi sterilizzazione — avrebbero creato troppo baccano e disordine nell’operazione di distacco dai figli. I giovani che abbiamo seguito da vicino, 50 tra i 1500 in visita tra gennaio e marzo, hanno speso tutta l’intera giornata per attraversare con attenzione e rispetto tutte le aree dove hanno trovato dolore e morte migliaia di dissidenti politici polacchi, prigionieri russi, rom e sinti, omosessuali, milioni di ebrei. Nel consueto momento di commemorazione, particolare a 15 anni dalla nascita del Treno della memoria, scelgono le parole più semplici di Primo Levi: «È accaduto pertanto può accadere di nuovo. Questo il nocciolo di quanto abbiamo da dire».

L’Osservatore Romano, 2 febbraio 2019