La Somalia e la sfida del futuro

Dopo il rinvio delle elezioni

di Fausta Speranza

La Somalia non ce la fa ad affrontare la prova delle elezioni. Il voto per il rinnovo del parlamento, previsto in questi giorni e in qualche modo atteso da decenni, è stato rimandato a data da destinarsi. Cade così anche la possibilità di scegliere il nuovo presidente entro il 30 ottobre. Per il paese del Corno d’Africa è una sconfitta sulla via di una difficile stabilizzazione politica. Resta il valore della testimonianza di Fadumo Dayib, emigrata in Finlandia e laureata ad Harvard, che è ritornata in Somalia per candidarsi alla presidenza, scommettendo contro conflitti, corruzione, povertà, e sfidando gli altri candidati uomini.

Da parte delle autorità somale non è stata data una spiegazione ufficiale alla decisione di rimandare le consultazioni. Ma da settimane divergenze sullo svolgimento del processo elettorale si sono mostrate con sempre maggiore evidenza. In base al calendario, concordato solo il mese scorso, 14.000 delegati designati dal governo avrebbero dovuto eleggere i componenti della Camera alta e quelli della Camera bassa fra il 24 settembre e il 10 ottobre. Nulla di tutto questo si è però messo in moto.

Dopo la dura guerra civile degli anni novanta, seguita al rovesciamento del presidente Siad Barre e costata la vita a 500.000 persone, in Somalia si è aperto un periodo di transizione. E nonostante la formazione nel 2012 di un governo federale il processo di normalizzazione non è ancora giunto a compimento. Non si parla di conflitto aperto, ma non si può parlare nemmeno di vera pacificazione.

L’appuntamento elettorale ormai mancato avrebbe potuto segnare la svolta. Per la prima volta dal 1969 il paese sarebbe stato chiamato a partecipare a elezioni regolari. E l’attesa era forte. Anche se sulle aspettative di molti pesava la preoccupazione per le minacce dei miliziani legati soprattutto al gruppo degli Al Shabaab che hanno intensificato gli attentati nella capitale, Mogadiscio, allo scopo di di intralciare il processo elettorale. Al Shabaab è un gruppo collegato ad Al Quaeda, che continua a mietere violenza facendo proseliti tra i giovani economicamente più vulnerabili e senza istruzione. In Somalia l’85 per cento della popolazione è al di sotto dei 35 anni e cinque milioni di persone soffrono la fame. La carenza alimentare si sta aggravando anche per il rientro, in queste settimane, delle decine di migliaia di somali che si erano rifugiati nel campo di Dadaab in Kenya, chiuso dalle autorità.

Per quanto riguarda il meccanismo di voto, va sottolineato che, al momento, l’accesso ai seggi è consentito solo all’un per cento della popolazione, che è di 12 milioni di abitanti. Quell’un per cento consiste nei capi anziani dei principali clan riconosciuti nel paese. A loro, infatti, spetta il compito di scegliere i 14.000 delegati, ai quali spetta poi il compito di indicare i membri del parlamento. In questo modo si vorrebbe consentire un’equa ripartizione dei seggi: 61 seggi ai clan principali e i restanti 31 suddivisi tra i clan minori. Il timore evidenziato dagli analisti internazionali è comunque quello che, attraverso questo sistema elettorale, gli interessi dei clan più piccoli finiscano in secondo piano a tutto vantaggio di una specifica élite politica.

Il suffragio universale è ancora un miraggio. Ma al momento l’obiettivo più sentito è quello di superare l’avvicendamento di governi di transizione, dando stabilità alle istituzioni. In questo modo sfuma anche la speranza di avere a breve un nuovo presidente. Entro il 30 ottobre si dovrebbe infatti svolgere l’elezione del capo dello stato. Ma, considerata la situazione, non saranno necessari annunci ufficiali per annullare anche questo importante appuntamento. L’elezione del presidente rientra infatti tra i compiti istituzionali del parlamento.

Tra i candidati alla massima carica istituzionale c’è Fadumo Dayib, una donna nata in Kenya da genitori somali 43 anni fa e che ha trascorso la maggior parte della vita in nord Europa. Sua madre, che già aveva perso undici figli per banali malattie, nel 1990 è scappata insieme con la figlia nella speranza di salvarla dalla denutrizione. Fadumo ha chiesto asilo in Finlandia e, 26 anni dopo, è tornata nel suo paese, con l’obiettivo di partecipare alle prime  elezioni libere, vincerle e diventare presidente.

Nel suo programma elettorale ha messo al centro lo scardinamento di alcune pratiche tribali e la lotta alla corruzione. Ha ammesso di ricevere in continuazione minacce di morte. Laureata in Pubblica amministrazione alla Harvard Kennedy School of Government, degli Stati Uniti, ha ottenuto un dottorato presso l’università di Helsinky, occupandosi di sanità e diritti umani. Fadumo incarna la speranza di chi sogna una Somalia profondamente rinnovata.

E che questo fosse possibile lo aveva in certo modo annunciato il vertice dell’Autorità intergovernativa per lo sviluppo dei paesi dell’Africa orientale (Igad) che la Somalia ha recentemente ospitato per la prima volta in trent’anni. Il fatto che Mogadiscio abbia accolto i capi di stato e di governo di Uganda, Kenya, Sudan, Sud Sudan, Etiopia, ha significato un attestato di fiducia da parte del blocco regionale. Ora, a solo due settimane da quel summit, la battuta di arresto per le elezioni. Una delusione per molti sulla quale resta comunque la scelta significativa di Fadumo che, per far fare balzi in avanti al suo paese, è tornata sui suoi passi, in un percorso decisamente controcorrente.

L’Osservatore Romano,  29 Settembre 2016