Dove inizia il traffico di esseri umani

 

Un fenomeno dalle radici profonde

di Fausta Speranza

«Siamo solo all’inizio e devono aprirsi tanti occhi che ancora non vogliono vedere». Con queste parole suor Eugenia Bonetti, responsabile del settore “Tratta donne e minori” dell’Unione superiore maggiori d’Italia e fondatrice dell’associazione Slaves No More, spiega che c’è tanto e tanto lavoro da fare contro lo sfruttamento a fini sessuali o di lavoro forzato, perché i trafficanti sono «abilissimi ed espertissimi nel cambiare le strategie» ma soprattutto perché «ci sono falle nella cultura dominante che aiutano proprio chi fa affari con la tratta». Ma poi suor Bonetti annuncia all’Osservatore Romano un’iniziativa che lascia intravedere che qualcosa può cambiare e che ha per protagonista l’Africa, una terra che ha deciso di alzare la testa.

Non si può dimenticare che l’ondata di flussi migratori aiuta l’ignobile fenomeno della tratta, ma, secondo suor Eugenia, resta il dramma di «una società in cui tutto si può comprare». Una società che «per esempio, regolarmente insegna ai suoi giovani che il corpo della donna è in vendita». La convinzione della suora, che in questi anni si è distinta per l’impegno a strappare dalla prostituzione centinaia di ragazze, è che di leggi contro lo sfruttamento degli esseri umani ce ne siano tantissime, ma che «non si può aspettare che i Governi incrementino la lotta se non cambia qualcosa nella profondità della mentalità dominante».

La religiosa non ha dubbi: «Si chiudono tanti occhi sulla pelle dei poveri, perché in fondo, a eccezione dei poveri, tutti ci guadagnano». E povertà, sottolinea, è carenza di mezzi e di risorse ma soprattutto è l’essere esposti a diventare «carne in vendita per prostituzione o organi da espiantare». Ma tutto questo esiste — sottolinea la suora che non ha paura di denunciare sfruttatori mafiosi in cui si imbatte avvicinando donne mercificate sulle strade — perché «la domanda è tanta. Serve una società diversa in grado di recuperare il valore della persona».

Ma suor Bonetti cambia tono di voce quando anticipa all’Osservatore Romano che a settembre ci sarà in Nigeria un convegno dedicato alla tratta che ha la caratteristica di essere «tutto africano». L’accento di soddisfazione tradisce chiaramente la speranza che il continente diventi protagonista nella lotta a un fenomeno che finora l’ha visto come terra di materiale umano da sfruttare. La religiosa annuncia che il convegno si terrà ai primi di settembre ad Abuja tra esponenti delle diverse zone dell’Africa, su iniziativa di Caritas internationalis. Chiede che trovino spazio sui media iniziative importanti come questa, oltre a tanti allarmismi xenofobi.

Esattamente di valori e giustizia sociale parla all’Osservatore Romano Alfonso Giordano, anche se la sua competenza specifica attiene alla geopolitica e ai flussi migratori, quale docente presso l’Università Luiss. Alla domanda su quanto le recenti ondate di flussi alimentino il drammatico fenomeno della tratta di esseri umani, Giordano assicura che si deve parlare di un raddoppio, ma immediatamente ci tiene a sottolineare che «i media amplificano, parlando di invasione, un fenomeno che in Europa non è affatto allarmante e che, con una gestione più opportuna, potrebbe seguire un corso positivo». Secondo Giordano, non è questione di numeri ma di «crescenti diseguaglianze sociali all’interno dei Paesi e tra Paesi», che rappresentano «il vero punto da affrontare» perché sono il motore dei flussi. Così come bisogna capire che quanti affrontano i viaggi della speranza «lo fanno anelando al benessere economico ma anche allo stato di diritto dei Paesi europei». Dunque, anche nelle parole di Giordano, la tratta è questione di giustizia penale ma soprattutto di giustizia sociale.

Sul piano sociale si svolge da sempre il lavoro delle Caritas. L’organizzazione umanitaria cattolica è impegnata sul campo a livello di strutture locali, europee e internazionali. Alain Rodríguez è il responsabile della comunicazione di Caritas Europa. Interpellato dal nostro giornale risponde che il «primo antidoto allo sfruttamento» è «dare l’opportunità alle persone di essere indipendenti economicamente e, dunque, non soggette a nessuna delle forme di ricatto che aprono la porta alla tratta».

Rodríguez conferma l’impegno degli operatori della Caritas tra i tendoni allestiti per accogliere migranti o nelle strutture dove transitano i richiedenti asilo. Ma vuole spostare l’attenzione su altri fronti meno noti, che rappresentano «le frontiere che la società civile non deve dimenticare». Fa l’esempio di un’iniziativa in Austria, terra non di disperato primo approdo dei migranti ma di secondo accesso. Racconta dell’hotel Magdas, una struttura nata a Vienna, per iniziativa della Caritas locale, impiegando tutto personale reclutato tra rifugiati. L’obiettivo è «assicurare un lavoro che mette al riparo da qualunque reclutamento in uno dei meandri della criminalità organizzata che gestisce la tratta».

Tutto questo può aiutare a evitare che ogni anno si consumi un’altra Giornata mondiale contro la tratta solo tra cifre e dichiarazioni di sdegno.

Osservatore Romano 30 Luglio 2016