La parte sommersa del web

 

Propaganda e armi dell’Is viaggiano sulla rete parallela a quella che conosciamo

di Fausta Speranza

Gli esperti la chiamano capacità di resilienza. È la reazione che permette al mondo di internet di rispondere alla chiusura di una pagina con l’apertura di altre cento. È la caratteristica che rende difficile combattere il deep web, quella rete profonda, parallela al web che tutti conoscono, nella quale però domina l’illegalità. Quella stessa rete dove ragazzi, come il diciannovenne che ha trucidato il sacerdote a Rouen, intessono contatti con il mondo del terrorismo o, come nel caso del diciottenne autore della strage di Monaco, si possono procurare armi.

Questa dark net — come viene chiamata — non si raggiunge con i comuni motori di ricerca e i suoi contenuti non sono indicizzati da Google. Secondo alcuni esperti, si tratta di oltre il 95 per cento del materiale che circola nel cyberspazio, la parte sommersa dell’iceberg internet, dove trovano spazio traffici di ogni genere, da quello delle armi alla pedopornografia, dalle droghe al commercio degli organi, per finire con quella che sembra essere, al momento, l’ultima frontiera: la compravendita di materiale radioattivo. Per non parlare poi della propaganda a favore di organizzazioni terroristiche.

Alessandro Burato, esperto di politiche della sicurezza, docente presso l’Università cattolica del Sacro Cuore, spiega all’Osservatore Romano che proprio il commercio illegale di materiale radioattivo è il campo «sul quale stanno più lavorando esperti britannici, dopo la scoperta dell’offerta di pezzi di uranio impoverito».

Quello che maggiormente colpisce della realtà del web criminale è la sua relativa facilità di accesso e di utilizzo. Non serve un computer con prestazioni particolari e non è richiesta neanche una specifica preparazione da parte di chi vi accede. È una rete nascosta, ma neanche tanto. Basta un browser ad hoc, in grado di leggere protocolli di rete diversi dal tradizionale http, e saper utilizzare l’interfaccia. Ma, spiega Burato, «si trovano linee guida per imparare». All’inizio dell’anno sono comparsi su alcuni siti liberamente accessibili suggerimenti su come accedere alla dark net, come pure trucchi per camuffare e nascondere eventuali tracce della propria navigazione online.

Al mercato della dark net, insieme con aberranti offerte di video con piccoli vittime di abusi o di fucili d’assalto, ci sono anche prodotti più comuni. Per esempio, tante produzioni cinematografiche e televisive, distribuite in violazione di ogni norma antipirateria. Con il rischio crescente di una banalizzazione dell’illegalità. È il terreno in cui il confine tra lecito e illecito svanisce, aprendo la strada a legittimazioni pericolose.

Burato ricorda che «la pirateria cinematografica si trova usando il programma Tor, che presenta caratteristiche da dark net ma che risulta ormai conosciuto a molti». Il software, il cui acronimo significa The Onion Router, garantisce l’anonimato all’utente che commette il reato di scaricare film senza autorizzazione e impedisce la tracciabilità della connessione o del tentativo di connessione. Queste caratteristiche fanno sì che lo stesso programma venga però utilizzato anche per aggirare censure e blocchi in quei Paesi dove Internet non è accessibile a tutti. Ma questo non fa altro che dimostrare la complessità del fenomeno.

Tutto questo non fa che complicare l’azione di indagine e repressione da parte delle forze dell’ordine, sia a livello nazionale che internazionale. Tuttavia anche questo sofisticato e occulto mondo della dark net potrebbe avere il suo anello debole. È quello delle transazioni economiche. Per forza di cose, trattandosi di un mercato, ci saranno dei pagamenti che da virtuali alla fine divengono reali, rimpinguando le tasche dei trafficanti. Anche immaginando percorsi che rimbalzano su piattaforme fittizie e codici criptati, ci devono essere alla fine interconnessioni con delle transazioni reali. Ed è qui la cerniera tra cybercriminalità e criminalità “ordinaria” che utilizza paradisi fiscali, corrompe, ricatta.

Il lavoro di chi indaga sul deep web si muove, dunque, su diversi terreni non facili, con la caratteristica alla quale ci ha costretto internet: l’extraterritorialità. Emerge quindi la necessità di una più efficace collaborazione tra sistemi investigativi, a livello internazionale e innanzitutto a livello europeo. Burato ricorda che «lo scambio tra servizi di polizia postale tra Paesi dell’Ue esiste, ma che si sente sempre più l’esigenza di un sistema di intelligence europea».

Quando si indaga su realtà come queste, infatti, ci si mette su binari che finiscono facilmente nel cono d’osservazione dei servizi segreti. È per questo che Burato sottolinea «l’urgenza di un sistema di intelligence europea» altrimenti, dice, «la cooperazione si arena». È un’urgenza viva più che mai di fronte all’escalation di episodi di terrorismo o di follia collettiva sul territorio del vecchio continente.

Ma un’intelligence europea è pensabile solo in presenza di una governance centrale comune, diversa da un insieme di Governi che in qualche modo cercano di coordinarsi. La prospettiva è praticamente la stessa che è stata più volte evocata in campo economico, quando di fronte alla crisi dei mercati finanziari e alle critiche alla moneta unica si è evidenziata la mancanza di un polo centrale in grado di assicurare vere e proprie politiche monetarie comuni che accompagnassero la nascita dell’eurozona. Ed è anche la stessa prospettiva che emerge in tema di migrazioni, quando torna l’appello a una politica unitaria che vada oltre le possibili scelte nazionali di apertura o chiusura delle frontiere.

Ma non è poca la strada da fare in questo senso sul terreno della storia dell’integrazione europea. E non è decisamente detto che si voglia andare in questa direzione, visto le spinte di movimenti antieuropeisti.

Certamente, fenomeni come la dark net vanno ben oltre l’ambito europeo, per sconfinare nel mare della globalizzazione digitale. Ma, in questo mare, muoversi come realtà europea sarebbe meglio che farlo come singolo Stato. Il mare presenta le stesse insidie ma è come navigarci su una barca più forte e solida rispetto a farlo su un piccolo scafo.

Osservatore Romano 28 Luglio 2016