Migliaia di minori si perdono all’arrivo in Europa

Senza lasciare traccia

di Fausta Speranza

Si contano ma non si trovano. Sono i minori migranti che affollano i barconi della disperazione, ma che poi non lasciano traccia. Nel 2015 sono stati diecimila quelli scomparsi una volta arrivati in Europa.

Ogni anno nel mondo spariscono otto milioni di bambini. Per loro ha lanciato un appello il Papa lo scorso 8 maggio. Ed è l’unico a denunciare questa tragedia, sottostimata perché si minimizzano il numero dei minori perduti e i motivi della loro scomparsa. Bergoglio ha ben chiaro, sin da quando era vescovo, che le cause di questo tremendo fenomeno sono principalmente lo sfruttamento sessuale e il mercato di organi, entrambi molto redditizi.

«È un dovere di tutti — ha detto Papa Francesco— proteggere i bambini, soprattutto quelli esposti ad elevato rischio di sfruttamento, tratta e condotte devianti». Con l’auspicio che «le autorità civili e religiose possano scuotere e sensibilizzare le coscienze, per evitare l’indifferenza di fronte al disagio di bambini soli, sfruttati e allontanati dalle loro famiglie e dal loro contesto sociale».

In particolare, per quanto riguarda i minori stranieri in Europa, accade che perdano i familiari nel lungo tragitto che li porta dai loro Paesi di origine in altri Paesi, tra varie vicissitudini, prima di arrivare su un barcone. Ma più spesso si tratta di bambini e ragazzini ai quali i genitori vogliono assicurare un futuro diverso da quello che intravedono nella loro situazione di morte e violenza, anche senza poterli seguire.

Vogliono vedere fuggire questi figli anche a costo di affidarli a scafisti senza scrupoli o lasciarli in balia delle acque imprevedibili del mare. Questi genitori, disperati al punto di fare quello che nessun genitore vorrebbe fare, cioè rinunciare a proteggere e accompagnare i propri figli, non immaginano gli abusi che avvengono sulla via. Certamente, non devono avere idea del traffico organizzato che, secondo la forza europea di polizia Europol, sta ad aspettare questi minori.

Sono soprattutto bambini che non si ricongiungono ai genitori o che li hanno persi durante il viaggio, bambini rimasti senza protezione che non sanno dove andare né con chi. Ad attenderli c’è un «business organizzato» che, secondo i dati di Europol, frutta milioni e milioni di euro ogni anno.

Il lavoro minorile incide di meno rispetto al mercato del sesso e, su scala mondiale, a quello degli organi. Bisogna capire da quali maglie,  di un sistema che dovrebbe assicurare assistenza e che invece spesso è corrotto, sfuggano questi piccoli e giovanissimi.

Il problema riguarda in particolare l’Italia, Paese di approdo. Ma non solo. Ernesto Caffo, fondatore e presidente di Telefono azzurro, non esita a  parlare di «fallimento del sistema di integrazione per questa fascia di minori». Un fallimento che «incide in modo significativo sulla loro scomparsa». Gli operatori del settore lamentano buchi neri nella burocrazia, che interviene nel coordinamento tra enti locali coinvolti e varie comunità di accoglienza, che si trovano sul territorio italiano.

Ma bisogna riflettere anche sul coordinamento tra Paesi europei. Ci sono differenze normative tra Stati membri che giocano a sfavore di un impegno comune di contrasto al fenomeno. Un solo esempio: non c’è un’unica espressione per identificare il fenomeno criminale sui vari territori. Alcuni Stati considerano la tratta di minori una forma autonoma di sfruttamento, altri assimilano le vittime minorenni agli adulti. Questo, secondo Europol, rappresenta un primo ostacolo al lavoro coordinato di intelligence.

Infine, va ricordato che quando si parla di vittime di sfruttamento e di tratta, più in generale di più vulnerabili, con i bambini vanno citate sempre le donne, minori e non. Il copione, seppure in diversi contesti, è spesso simile.

In prima pagina, Osservatore romano 27 Maggio 2016