Visita di Obama in Argentina, nel 40.mo del golpe militare

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Presidente Usa da presidente Argentina – Foto AFP

Il 24 marzo di 40 anni fa avveniva, in Argentina, il golpe militare che destituì il governo democraticamente eletto di Isabel Martínez de Perón, succeduta al marito, Juan Domingo Perón. Le diverse giunte militari, fino al 1983, hanno portato avanti una politica economico-sociale di tipo liberistico, di stampo fortemente nazionalistico e soprattutto macchiata da gravissime violazioni di diritti umani e crimini contro l’umanità. 30 mila le persone assassinate, definite, nel clima di segretezza, Desaparecidos, cioè “scomparsi”. Famigerati i “voli della morte”: migliaia di dissidenti politici, o ritenuti tali, gettati in mare vivi da appositi aerei militari. Proprio in questi giorni è in visita in Argentina il  presidente americano Barack Obama. Fausta Speranza ha intervistato Roberto Da Rin, del Sole 24Ore:

R. – 40 anni sono molti, indubbiamente, però, l’impatto e il seguito di questa drammatica fase storica si percepiscono ancora nella società argentina. 30 mila desaparecidos, oltre ad essere un patrimonio e una perdita umana devastante, sono anche una perdita civile, perché è stata cancellata una generazione, un’intera generazione, e probabilmente anche quella più propositiva, con più voglia di fare! La classe dirigente argentina ha patito l’amputazione di una parte così pulsante della società. Ecco perché c’è ancora attualità nella vicenda dei 30 mila desaparecidosscomparsi nel periodo compreso tra il 1976 e il 1983: quindi c’è una forte componente di attualità. Una società politica ancora mutilata, che paga a tutt’oggi le conseguenze di una mancanza.

D. – Tra polemiche e annunci vari, quale significato ha la presenza di Obama in questo anniversario in Argentina?

R. – Obama è venuto in questi giorni per portare la sua testimonianza e la sua presenza. Certamente, è un presidente completamente diverso da quelli che in quegli anni avevano di fatto appoggiato i regimi militari. Le polemiche sono derivate dal fatto che esisteva un “Plan Condor” – così chiamato – che raggruppava e coordinava le dittature più violente in Paraguay, Argentina, Brasile e Cile. E una delle teste pensanti del “Piano Condor” arrivava proprio dagli Stati Uniti. Molti, quindi, non hanno ancora deciso di perdonare gli Stati Uniti, per aver avuto una presenza non irrilevante nella gestione e nel coordinamento di queste dittature militari, dove i militari erano addestrati ad uccidere. Militari che hanno poi sterminato un numero incredibile di giovani. Ecco perché, ancora oggi in Argentina, ci sono ampie fasce della popolazione che guardano agli Stati Uniti con diffidenza, non solo per non avere ostacolato, ma per avere in qualche modo incentivato una repressione nel timore che si espandesse il “virus” del comunismo: questo era quello che si diceva.

D. – Gli Stati Uniti d’America che cosa potrebbero fare per una fase davvero nuova nei rapporti con l’America Latina in generale e in particolare con l’Argentina?

R. – Potrebbero fare molto, perché il continente americano – Nord e Sud – è un continente unico dal punto di vista propriamente geografico. Quindi, potrebbero attivare delle relazioni Nord-Sud che siano improntate più al dialogo, rispetto all’imposizione di alcuni trattati commerciali: questi ultimi, infatti, non sempre fanno gli interessi dei Paesi latinoamericani, e quasi sempre fanno esclusivamente quelli degli Usa. Ora però, sia il Brasile che l’Argentina sono dei Paesi che hanno acquisito e consolidato dei regimi democratici a dispetto delle crisi in corso e sono quindi interlocutori che si siedono al tavolo con gli Stati Uniti – in questo caso con Barack Obama – con più autorevolezza e meno sudditanza psicologica.

D. – Qual è il messaggio per la presidenza Usa che è emerso da Buenos Aires?

R. – Il messaggio è un messaggio di disponibilità e di apertura. Non dimentichiamo che negli ultimi 13 anni di governo, quelli dei coniugi Kirchner – prima di Néstor Kirchner e poi della moglie Cristina Fernández de Kirchner – non si è guardato agli Stati Uniti con molta simpatia. Questo deve essere detto e ricordato. Sul fronte delle politiche economiche e degli affari interni, hanno sempre gestito la propria politica cercando altri soci commerciali e imputando agli Stati Uniti ancora delle responsabilità non indifferenti. Ora, questo nuovo governo di Mauricio Macri, che si è insediato da alcuni mesi, sembra intenzionato a voltare pagina e ad offrire agli Stati Uniti una nuova apertura in termini di credibilità, disponibilità e dialogo economico e commerciale.

da Radio Vaticana del 24 marzo 2016