La fede che aiuta

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Le associazioni a carattere religioso garantiscono oggi aiuti a 80 milioni di persone coinvolte da guerre e catastrofi. L’incontro, organizzato da Onu e Ordine di Malta, per riflettere sul ruolo delle religioni nelle emergenze.
di Fausta Speranza

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La platea dell’incontro di Ginevra.
“Siamo tutti in un grande reality di guerra, con 180 milioni di persone vittime di sofferenze in scenari senza precedenti di violenze, di cui 9 su 10 sono civili”. Sono parole della persona che il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-Moon, ha scelto per guidare il team internazionale che prepara il primo summit umanitario mondiale, che si terra’ a maggio 2016  a Istanbul.

Parliamo di Jemilah Mahmoud, per anni medico in prima fila in vari conflitti, sfuggita alla morte in un agguato in Afghanistan. Incontriamo la signora Mahmoud a Ginevra, al Simposio che vuole preparare quello che lei definisce uno dei dossier piu’ importanti del World Humanitarian Summit: il dossier sul ruolo delle religioni. L’84% della popolazione mondiale segue un credo religioso, ricorda Mahmoud, sottolineando che organizzazioni a carattere religioso assicurano la maggior parte dell’assistenza umanitaria da cui dipendono attualmente nel mondo 80 milioni di persone. Lo dice raccomandando di non parlare solo delle distorsioni politiche degli estremismi. Bisogna ricordare il lavoro silenzioso e essenziale che fanno, in contesti di guerra, persone ispirate a quei principi di solidarieta’, bene comune, pace che le religioni custodiscono.

Il Simposio del 27 maggio 2015 a Ginevra, che riunisce leader di quattro confessioni, cristiana, ebrea, musulmana e buddista, e’ frutto della collaborazione tra le Nazioni Unite, padrone di casa, e il sovrano Ordine di Malta, tra i protagonisti sulla scena mondiale e in particolare in Medio Oriente dei piu’ importanti progetti di assistenza umanitaria, come sottolineato dal direttore della sede a Ginevra dell’Onu, Michael Moller.

E’ molto concreto il Gran Cancelliere e ministro degli Esteri dell’Ordine, H. E. Albrecht Freiherr von Boeselager, a chiarire che le organizzazioni religiose sono le prime a portare aiuto anche perche’ hanno istituzionalmente  infrastrutture di assistenza nei vari paesi e perche’  hanno esperienza di cooperazione tra varie confessioni. Questo dunque il segreto, oltre allo spessore etico e allo spirito di sacrificio, del ruolo delle religioni. Un ruolo pero’ che va studiato, ripensato e accompagnato, come va ripensato tutto l’impegno umanitario su terreni dove i conflitti sono cosi’ diversi dal passato. Le guerre sono asimmetriche, ci ricorda von Boeselager, sottolineando che troppo spesso non c’e’ rispetto dei piu’ basilari principi dei regolamenti internazionali. E questo perche’ – avverte – ci sono forze terroristiche che travalicano qualunque principio ma anche perche’ la tecnologia stessa contribuisce a cambiare i termini della questione. Ci fa un esempio pesante: i droni, aerei senza piloti che  allontanano per vari motivi dalla dimensione umana. Tutto contribuisce a rendere piu’ difficile lo sforzo di salvare vite umane e diminuire le sofferenze. Un paradosso nel mondo sempre piu’ globalizzato.

Da sempre le organizzazioni ispirate a valori religiosi, se non sono gia’ presenti,  sono le prime ad arrivare e le ultime a partire in caso di grandi emergenze umanitarie.  Un’altra caratteristica fondamentale e’ che il loro arrivo non e’ legato a interessi politici.
Ma c’e’ altro su cui lavorare. Ed e’ il ruolo che i leader religiosi possono giocare nella battaglia contro i fondamentalismi. Al Simposio a Ginevra si dicono tutti d’accordo su questo, a partire dal Gran Rabbino Marc Raphael Guedj, presidente della Fondazione Radici e fonti. E’ d’accordo anche il dottor Hani El-Banna, co-fondatore di Islamic Relief e fondatore del Muslim Charities Forum. El-Banna pero’ sottolinea anche insistentemente il rischio di islamofobia.

In ogni caso, il ruolo delle religioni non finisce qui. C’e’ il rapporto con il mondo della politica, dai governi alle istituzioni internazionali. E’ l’Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’Onu a Ginevra, l’arcivescovo Silvano Tomasi, ad affermare che i leader religiosi devono interpellare i politici a vari livelli. Mons.Tomasi dice: “Dobbiamo fare una domanda importante sul ruolo delle organizzazioni internazionali, che in questo momento sembrano paralizzate e non in grado di dare una risposta alle crisi gia’ avvenute e incapaci, o non all’altezza, di prevenire le esplosioni di violenza”.

E monsignor Tomasi ci porta al cuore del problema affermando: “Gli Stati che compongono queste organizzazioni hanno interessi piu’ forti della solidarieta’ e degli impegni che hanno preso quando si sono associati in queste organizzazioni”. L’ambasciatore di Papa Francesco chiede  “coraggio di dialogare nonostante le crisi sempre piu’ complesse e la violenza sempre piu’ efferata dei terroristi”.

Dunque, le religioni protagoniste  di assistenza umanitaria, cooperazione e riconciliazione, ma anche doverose spine nel fianco del mondo della politica.

da Famiglia Cristiana del 1° giugno 2015