Il medico eroe del Congo

Denis Mukwege lavora come ginecologo in un Paese in cui “lo stupro è l’arma più economica per fare la guerra”. L’attività di difesa delle donne e e gli attentati. di Fausta Speranza

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Denis Mukwege (foto F. Speranza)

“In un mondo di inversione di valori, rifiutare la violenza significa esser dissidente”: sono le parole di Denis Mukwege, medico congolese insignito del Premio Sacharov appena scampato a un attentato nella sua Repubblica Democratica del Congo.  “Cercano di colpirmi – spiega – “perché cerco di dare lo statuto di vittime alle donne violentate: in Congo non sono tali”.

Mukwage da 15 anni opera nell’ospedale Panzi a Bukavu, in quella che definisce “una situazione formale né di guerra né di pace, ma di autentica impunità”, in cui  lo “stupro è usato come l’arma più economica di guerra”. Il ginecologo ribadisce che “l’uso di massa dello stupro viene ordinato dall’alto dai criminali di guerra”.  E ci spiega: “A violare le donne sono anche tutti gli uomini che di fronte a tutto ciò tacciono”. Il punto è che il ginecologo cura anche i diritti sistematicamente altrettanto violati di queste donne, adulte o bambine, denunciando con grandissimo coraggio nel Paese africano della Regione dei Grandi Laghi, dove i diamanti muovono interessi e armi.

Con voce ferma spiega che spesso la violenza viene in qualche modo “firmata”. Sui corpi straziati di donne, ma anche di bambine e perfino neonate, il medico ritrova, infatti, segni particolari che distinguono il clan che si è macchiato del crimine. Nell’intervista a Famiglia Cristiana, il medico mai indugia nei particolari ma sottolinea di sentire il dovere, come uomo e come credente, di denunciare tutto ciò anche raccontando frammenti dell’orrore che vede. Si trova di fronte ogni giorno decine e decine di donne violate nella maggior parte dei casi brutalmente, in alcuni casi, anche con oggetti o con acido. Fa un altro esempio. Racconta dei 6 neonati mutilati che ha visto provenienti dalla regione del Kivu: sono stati strappati dal ventre squarciato di donne agli ultimi giorni di gravidanza e mutilati negli arti e nei genitali.

Mukwage racconta che, oltre allo strazio letto nei corpi, si sente sempre più fragile di fronte alla disperazione delle donne che vengono stuprate e alle quali poi viene imposta la presenza ogni giorno degli uomini che le hanno “violate nell’intimità e nell’anima”. O donne alle quali viene imposto di obbedire agli uomini che hanno violato le loro figlie. Di fronte a tutto ciò – ci dice – “come si può avere paura per se stessi?”. “La paura c’è ma non si sente: si sente più forte l’orrore da combattere”.

Ringrazia l’Ue che, con il Premio Sacharov per quanti si distinguono nella difesa dei diritti umani che ha ricevuto a dicembre 2014, “ha acceso i riflettori sul dramma del popolo congolese”. Ringrazia anche delle continue sollecitazioni da parte delle autorità europee al governo del Congo perché sia protetto dalle forze dell’ordine. Sollecitazioni rinnovate anche in queste ore dopo l’ultimo attentato. Ma poi Mukwage chiede al mondo di “andare oltre la denuncia e l’orrore e occuparsi delle cause”.

In particolare, Mukwage chiede regole sulle risorse minerarie. Affida a Famiglia cristiana un chiaro appello: suggerisce, oltre la solidarietà e i finanziamenti, che l’Europa metta nero su bianco vincoli adeguati per il rispetto dei diritti umani nelle regolazioni, attualmente allo studio, che riguardano a diverso titolo le risorse minerarie e i prodotti che ne derivano. Ci dice: “Per tutto ciò che avviene in Africa e per i prodotti commerciati in Europa”.

Il ginecologo congolese ricorda che “in Congo l’economia ampiamente militarizzata trasforma il Paese da un territorio tra i più ricchi al mondo nel territorio dove avviene “la negazione della semplice umanità”. E sottolinea che il commercio di oro, diamanti, rame, coltan, cobalto è globale. Nessun paese si senta escluso.
da Famiglia Cristiana del 20 febbraio 2015