Emergenza Foro Romano

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Al di là della pedonalizzazione di Via dei Fori Imperiale, c’è l’emergenza Foro Romano

Si fa presto a dire Parco archeologico: dopo le discussioni sulla pedonalizzazione di Via dei Fori Imperiali, la domanda più urgente non è tanto quante macchine continuino a percorrerla o quanto traffico sia rimbalzato su Via Merulana o quanto i cittadini siano contenti, ma piuttosto che cosa ne sia del contiguo Foro romano. Racchiude mille anni di storia tra circa il 500 a.C. e il 500 d.C. ma rappresenta una sorta di passeggiata tra ruderi.

L’idea è bella: un Parco archeologico dove Roma è nata per iniziativa di Romolo. L’ha spiegato il sindaco Marino: sarebbe l’obiettivo ultimo della pedonalizzazione. E un personaggio di rilievo del mondo del teatro come Proietti lo ha invocato, forse anche sognando che diventi quello che è il teatro di Taormina in Sicilia o il teatro di Epidauro in Grecia: monumento storico di indicibile valore ma anche spazio fruibile alla cultura.

Tra gli archeologici della Sovrintendenza si raccoglie scetticismo assoluto sull’ipotesi di cambiamenti significativi. Ne incontriamo uno che gentilmente ci parla e offre dati interessanti ma non vuole comparire. Prima di proiettarci nel futuro, facciamo una visita al Foro, che, nei mesi estivi quando la calura imperversa e nel tardo pomeriggio sarebbe più piacevole fare una visita, chiude alle 18.

Facciamo una passeggiata al Foro con un architetto amante di storia antica,  funzionario del Comune. Il suo sguardo va dal culturale all’istituzionale. Si chiama Vincenzo Antonio Ambasciano, lavora al neo Primo Municipio ma fuori dello stabile c’è ancora scritto Municipio XVII, come prima dell’accorpamento. Ha affiancato per anni, nel suo impegno di studio all’Università, il noto prof. Massimo Birindelli. Con noi non ha nessun problema a metterci la faccia: parla di “degrado”, di “passeggiata tra i ruderi di turisti abbandonati a loro stessi”. Effettivamente basta guardare di fronte all’Arco di Settimio Severo: su capitelli e frammenti di colonne bivaccano indisturbati visitatori con bibite gassate in mano. Nessun cartello e, pur soffermandosi per ore, non si riuscirebbe a notare alcun richiamo da chicchessia. “Non ci sono controlli”: questo amaramente lo ammette anche l’archeologo che resta senza nome.

L’architetto Ambasciano, con una passionalità che richiama al senso enorme di quello che abbiamo di fronte, ci ricorda che nell’area sono stati trovati scheletri di necropoli preesistenti alla fondazione di Roma, del VII secolo a.C. E soprattutto ci ricorda che il Foro era il cuore di ogni attività, tra religione e politica, dal tempio di Vesta alla Curia. Al Foro campeggiava lo Umbilicus Urbis Romae: una sorta di cono di mattoni, centro ideale della città da cui partiva ogni misurazione di distanze per tutto l’impero. Resta il basamento ma senza nessuna indicazione. Così come per la secolare Via Sacra, la via che dalle pendici del Campidoglio arrivava all’Arco di Tito, percorsa da potenti e condottieri al rientro da imprese: i turisti possono camminare sui basolati rimasti senza alcuna segnalazione. L’archeologo boccia l’idea di qualunque pannello descrittivo: “deturperebbe”. Immaginiamo almeno un tratto da lasciare protetto dal camminamento. L’archeologo spiega che per simili iniziative si dovrebbero coordinare Sovrintendenza, Ministero dei Beni Culturali e Comune che “hanno sì contatti ma non una struttura di collegamento vero e proprio”. Struttura peraltro di cui “si parla da tempo” per diversi motivi.

Parliamo di scavi. I punti di coperture che nascondono l’impegno della Sovrintendenza sembrano abbandonati. Sappiamo di archeologi e speleologi impegnati e qualcosa si può leggere su riviste specializzate. Ma anche la nostra fonte anonima alla Sovrintendenza ci conferma: sono interventi isolati e tesi alla conservazione, nessuna campagna di scavi per restituire qualcosa di più di quello che giace sotto gli occhi di tutti. Eppure sappiamo che con la legge di Roma Capitale del 2000 sono arrivati “una marea di finanziamenti”. Quando domandiamo come mai non venga divulgato quasi nulla dell’impegno della Sovrintendenza in loco, l’archeologo ci dice: “Non siamo abituati a concepire questo”. E poi aggiunge: “Siamo pochi: dal 2000 ad oggi i funzionari sono stati ridotti esattamente del 50%”. Che si riducano gli addetti ai lavori per lo sfruttamento del nostro petrolio, i beni culturali, non è una novità in Italia ma resta uno scandalo. Ma parlando di più con l’archeologo cogliamo una resistenza di fondo all’idea di far emergere qualcosa: percepiamo il timore che non ci siano risorse per gestire patrimoni che è quasi meglio lasciare conservati come il tempo ha deciso di fare. Ovviamente il Foro è patrimonio dell’umanità riconosciuto dall’Unesco ma non riceviamo fondi, solo l’indicazione di vincoli di manutenzione e conservazione. Ci piacerebbe sapere cosa ne pensi l’Unesco del bivaccamento di turisti sui capitelli, dei sandali e scarpe da ginnastica sull’unico tratto rimasto della Via Sacra, e ci piacerebbe sapere cosa ne pensi dell’idea di ignorare patrimoni ancora nascosti sotto terra.

Il nostro archeologo si rifiuta di accettare la definizione del Foro, così come si presenta oggi, come un’area praticamente recintata e basta. Rivendica giustamente il lavoro di quanti tentano di occuparsi della manutenzione e si dice convinto che scavare per riportare alla luce altro materiale non sia possibile in un’area così densa. Non è un archeologo, ma l’architetto Ambasciano su questo la pensa diversamente. Suggerisce intanto di “tirare su tutto quello che si può rimettere in piedi”, di “scavare per tirare fuori altro e, perché no, anche creando supporti che aiutino a ricostruire i monumenti come erano”. Lascia intendere che progetti del genere dovrebbero avere delle scadenze, che creerebbero un’attesa. Attualmente, ci fa notare, i lavori avvengono come in una sorta di limbo: “senza che qualcuno si aspetti resoconti o risultati”. Ci fa un esempio: il complesso del Carcere di Mamertino si visita solo in parte per via degli scavi in corso: da 30 anni e senza scadenze.

L’indicazione di tempi in Italia sembra un optional inconsiderato. Sul cartello sulla facciata del Palazzo Senatorio su Via del Campidoglio a tutt’oggi si legge che sono in corso lavori strutturali, per un costo di 2 milioni e 500.000 euro, della durata di 560 giorni a partire dal primo luglio 2007. Calcolare che siamo fuori già del doppio del previsto è immediato. Di altro non è dato sapere. Resta la consapevolezza che stiamo parlando dell’area archeologica più densamente ricca di storia al mondo e resta la consolazione che qualcuno come l’architetto Ambasciano continui a sognare altro.

di  Fausta Speranza in Area del 1 settembre 2013