La crisi? Sulle spalle delle donne

Le donne europee sono tre volte vittime della crisi: restano più spesso disoccupate, hanno salari comunque più bassi e devono sopperire ai tagli al welfare.

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(foto Reuters)

A cinque anni dallo scoppio della crisi, nella seconda e più critica fase economica, sono le donne a pagare di più. La crisi è scoppiata intorno al 2008 come crisi della finanza, settore che vede la presenza femminile a meno del 5%, ma è poi diventata recessione sociale con almeno il 30% delle donne a rischio povertà in Europa.

I dati che vengono da Bruxelles sono inequivocabili: le cittadine europee sono vittime tre volte: dei tagli sull’occupazione, dei tagli sociali imposti dall’austerity, dell’aumento della violenza in conseguenza dell’esasperato clima sociale. Per le donne la disoccupazione al 21% si aggiunge ad una posizione nell’ambito lavorativo già più vulnerabile: basti pensare che le donne, a parità di impiego e qualifica, guadagnano oltre il 17% di salario in meno rispetto agli uomini. Le donne che hanno bambini hanno il 12% di possibilità in meno di trovare lavoro mentre, al contrario, per gli uomini, quanti hanno figli risultano occupati in una percentuale più alta dell’8%. Inoltre il 31% delle donne lavora part time a fronte del solo 8% maschile e una percentuale ancora più alta si rileva per il precariato: tutti ambiti più esposti ai tagli all’occupazione.

Ma il vero dramma è quando si guarda al welfare: i tagli all’assistenza ad anziani o al sostegno all’infanzia ricadono soprattutto sulle spalle delle donne. Si parla, ovviamente, di una media di rischio esclusione sociale al 30% che nasconde divergenze profonde, dalla Danimarca alla Grecia, che vanno dal 3% al 77%, come spiega Elisabeth Morin-Chartier, relatore  della proposta di Direttiva per migliorare la condizione femminile presentata dal Parlamento Europeo. Anche la Commissione Europea ha presentato in occasione della Giornata internazionale della donna il suo Rapporto con linee guida di azione.

Ma, al di là degli annunci ufficiali, a ben guardare si capisce che non si potrà arrivare ad adottare un testo comune effettivamente operativo prima del prossimo autunno. Lo scoglio è quello del voto del Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo. Ma non solo: si scopre che il testo della Morin-Chartier, che chiede precise misure di sostegno all’assistenza sociale, deve ancora passare il vaglio di vari emendamenti all’europarlamento stesso, in cui si evidenzia la differenza di percezione traPaesi mediterranei in emergenza assoluta e paesi del nord relativamente toccati.

In tutta Europa solo il 30% delle imprese è femminile, ricorda a Famiglia Cristiana Mary Papaschinopoulou, direttore della Camera di commercio in Germania e fondatrice di Eurochambre Women Network, che subito aggiunge che ciò accade nonostante che la percentuale di successo per il business in gonnella è quasi il doppio rispetto a quella maschile. Ma poi aggiunge anche che, in particolare in questa fase, le probabilità di trovare credito dalle Banche per le imprese rosa è, invece, decisamente inferiore rispetto al mondo dell’impresa maschile.

Il problema è nella rappresentanza femminile al vertice delle istituzioni politiche e finanziarie, ci fa notare Raul Romeva, membro del Comitato per i diritti e pari opportunità per le donne del Parlamento Europeo: “Finchè le donne non saranno nelle stanze dei bottoni sarà difficile avere politiche sociali veramente al servizio dei cittadini e non della finanza”. E “sarà difficile combattere l’aumento di casi di violenza sulle donne, in famiglia e non”. Sulla violenza la Romera non vuole dare cifre ma parla di “netta escalation”.

In tema di rappresentanza, c’è l’annosa questione delle cosiddette “quote rosa”. Interpelliamo Evelyn Regner, membro del Comitato affari legali dell’europarlamento, che subito chiarisce: “Nessun paese mai nella storia ha raggiunto il 40% di presenze femminili nei posti della politica senza aver inserito nella legislazione il vincolo delle quote”. L’esempio più recente è la Francia che nel 2011, fatta la legge, ha raggiunto l’agognata percentuale. E c’è poi il caso dell’Italia che sostiene le quote rosa a Bruxelles ma attualmente non le prevede nella legislazione nazionale.

Nella Direttiva in discussione c’è proprio l’obiettivo del 40% di quote rosa in tutti i Paesi europei entro il 2020. Chiedendo in giro si scopre che è proprio uno dei punti più dibattuti. Morin-Chartier taglia corto: “Le quote rosa non piacciono a nessuno ma sono un male necessario”. La Evelyn Regner, da giurista, suggerisce quella che potrebbe essere la vera innovazione in materia: quote rosa a tempo determinato. “Il tempo utile per lanciare il cambiamento”.

Fausta Speranza

da Famiglia Cristiana del 7 marzo 2013