Etiopia, i colori dell’Africa cristiana

Aethiopia Porta Fidei. L’Etiopia, porta della fede.

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La foto di copertina è dell’agenzia Reuters.

La storia religiosa millenaria dell’Etiopia in oltre 100 preziosi manufatti artistici. E’ la mostra “Aethiopia Porta Fidei. I colori dell’Africa cristiana”, ospitata al Museo diocesano di Vicenza fino al 24 febbraio 2013. Per tutto il suo passato storico, prima giudaico e poi cristiano, l’Etiopia è considerata una sorta di provincia dell’Oriente cristiano “casualmente” in terra d’Africa. Icone, rotoli magici, croci, libri, strumenti: i reperti sono tutti molto particolari e poco conosciuti.

La lunghissima tradizione esposta nella mostra comincia addirittura le sue radici nel popolo ebraico e viene fatta risalire lontano fino forse alla regina di Saba, nel suo viaggio in terra di Israele per incontrare il re Salomone. Secondo alcune interpretazioni, già vive nell’antichità, dovrebbe identificarsi proprio con la regina di Saba la voce femminile del Cantico dei Cantici che pronuncia la frase che in in latino suona “Nigra sum sed formosa” e che potremmo tradurre in “Sono bruna ma bella”.   La tradizione locale colloca proprio in Etiopia il regno di Saba e racconta che Salomone avrebbe preso la regina con l’inganno durante la visita di lei alla corte di Israele.

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Ci sono poi i reperti che ci riportano alla Chiesa cristiana delle origini, che rivive ancora oggi perché si sono conservati riti, rappresentazioni artistiche in cui è evidente lo spirito della prima età evangelica. E questo si deve naturalmente al fatto che l’Etiopia cristiana si è trovata rapidamente circondata da popoli islamici e che proprio per questo si è radicata nella tradizione, ha difeso l’affermazione di un’identità di razza, lingua, costumi, che in buona misura, nonostante tante fasi critiche, è giunta fino a noi.

Di fronte al racconto di tutto ciò attraverso bellissimi reperti ci si ricorda che in Europa non si può essere monocentrici. E’ la riflessione del cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, che incontriamo alla presentazione della mostra a Roma. «Riscoprire questa ricchezza – ci dice – serve a noi europei per perdere l’autoreferenzialità che ci caratterizza,  derivata spesso da un senso di superiorità che, pur avendo come adice ultima delle giustificazioni dal punto di vista della storia, del pensiero e della cultura, non si giustifica mai quando va oltre i limiti di una capacità di convivenza e di unità con tutta quanta la famiglia umana».

E’ indubbio che la ricchezza della Chiesa d’Etiopia, che la mostra documenta, è un’occasione e una provocazione per la nuova evangelizzazione in Europa. Basta pensare all’intensità dei colori delle icone, che sembrano sintetizzare l’immaginario religioso di un popolo. Nella mostra ce ne sono una quarantina di piccolissimo formato, realizzate tra il XVI e il XVIII secolo. Erano un accessorio quotidiano quanto prezioso.

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L’arcivescovo di Addis Abeba, cardinale Demerew Souraphiel Berhaneyesus, e l’arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola.

Ma tanta ricchezza di storia non può far dimenticare l’oggi: l’Etiopia è il secondo Paese più popoloso d’Africa, con più di 86 milioni di abitanti, di cui la metà ha meno di 20 anni. E’ uno dei Paesi più poveri al mondo. Nelle zone rurali si conta un medico ogni 100.000 abitanti. Ha le potenzialità per crescere ma lo sviluppo economico, industriale e quello delle infrastrutture richiede innanzitutto personale con adeguate competenze. I migliori giovani attualmente vanno a frequentare l’Università all’estero.

Ecco che la storia cerca di mettersi a servizio dell’attualità: la mostra è stata voluta per raccogliere fondi per portare avanti il progetto dell’Università Cattolica d’Etiopia San Tommaso d’Aquino Ecusta, ad Addis Abeba. Il terreno c’è: il Governo federale della Repubblica Democratica d’Etiopia ha donato 60 ettari. Attualmente c’è solo una piccola struttura gestita da suore salesiane di Zway, a 250 chilometri dalla capitale, che ospita corsi di laurea diurni e serali per tecnici di laboratorio medico e operatori sociali. Ma si farà, invece, un vero e proprio Campus medico in gemellaggio con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e l’Università degli Studi di Padova.

L’arcivescovo di Addis Abeba, cardinale Demerew Souraphiel Berhaneyesus, ci racconta che i servizi educativi assicurati dalla Chiesa cattolica da tempo sono molto apprezzati dal popolo e che lo stesso governo etiopico chiese a Giovanni Paolo II di aprire un’università. Ci spiega, poi, che il progetto è stato fortemente sostenuto dalla Conferenza Episcopale Italiana. E’ evidente che un Campus universitario così progettato potrà essere molto importante non solo per l’Etiopia ma anche per tutto il Corno d’Africa, per la Somalia, per Gibuti, per l’Eritrea, per il Sudan.

L’arcivescovo di Addis Abeba aggiunge che “il polo universitario può avere conseguenze positive fino in Medio Oriente, dove si recano molti etiopici per lavorare come domestici, come infermieri”. Sottolinea che ovunque “solo con l’educazione si può avere una coesistenza pacifica e si può assicurare partecipazione dei giovani allo sviluppo del Paese”. La mostra insegna che non può esserci educazione senza memoria storica.
Fausta Speranza

Famiglia Cristiana del 29 Ottobre 2012