Lama Hourani

I fondamentalismi uccidono la democrazia

di Fausta Speranza

Dopo la visita del Segretario di Stato americano Condoleeza Rice in Medio Oriente e poi l’incontro, tra il premier israeliano Olmert e il presidente palestinese Abu Mazen, al di là delle intenzioni ribadite in questi giorni di un accordo entro il 2008, si confermano lo stallo dei negoziati e l’esasperazione della situazione sul terreno. A Gaza è assedio e in Cisgiordania  il territorio è sempre più frantumato a causa di insediamenti e check point israeliani. Non si intravedono novità nella strategia di Israele, mentre tra i palestinesi, dopo l’esperienza di governo di unità nazionale, è ormai piena frattura tra Hamas, che controlla Gaza, e Fatah che ha il suo quartier generale a Ramallah.
Lama Hourani è una palestinese attivista per i diritti umani e in particolare per i diritti delle donne. Non senza difficoltà, da poco ha lasciato  Gaza, dove viveva da anni. Si è distaccata da familiari e amici per fuggire da Hamas. L’abbiamo incontrata a Gerusalemme e ci ha motivato così la sua scelta:

Sono scappata non per paura degli israeliani ma per paura del fondamentalismo di Hamas. Ho portato avanti diverse battaglie per la condizione della donna e mai avrei portato il velo, perché sono laica. Ho avuto paura per me e per mio figlio, perché il fondamentalismo combatte proprio le persone come me. Il fondamentalismo uccide proprio quello per cui io combatto, quello in cui io credo: diritti e democrazia. Io credo che un po’ tutte le religioni, in fondo, non possano andare d’accordo con la democrazia, perché si fondano su una verità fuori discussione. Ma la discriminante è se i leader vogliano o non vogliano imporre a tutti la verità politica che pensano di dedurre dalle verità di fede. L’islam, poi, viene dopo giudaismo e cristianesimo e qualche suo esponente è convinto di aver elaborato il meglio in assoluto. In ogni caso, io penso che siamo, in generale nel mondo, in una fase di esasperazione, di fondamentalismo. Le donne devono studiare la legge islamica perché ci sono leggi in diversi paesi basate sulla Sharia che a sua volta ha la pretesa di basarsi sul Corano. Le donne devono studiare molto e conoscere bene la Sharia e il Corano, per capire fino a che punto il Corano viene strumentalizzato per mantenere in vita un sistema politico, che va contro i diritti basilari delle persone.

Che ne pensi della divisione tra Hamas e Fatah?

Non è una lotta di potere, ma è una frattura che nasce da differenti visioni politiche. L’OLP, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina,  e il partito di Fatah vogliono uno stato nazionale palestinese, sostanzialmente basato sui confini che c’erano prima della guerra del 1967. Gli islamici di Hamas, invece, non vogliono uno stato nazionale palestinese ma vogliono uno stato islamico. Che potrebbe essere Gaza o tutta la Palestina o tutto il mondo. La loro non è una battaglia nazionalista: questa è la grande questione di fondo.

Secondo te, perché Fatah ha perso alle elezioni di gennaio 2006?

Secondo me, la prima ragione sta nel collasso del processo di pace. Il popolo palestinese ha capito che Israele non è pronto ad accettare uno stato palestinese e a rispettare le risoluzioni o lo proposte della comunità internazionale. C’è stato poi anche il problema della corruzione all’interno di Fatah, che aveva deluso, ma non è tra le principali motivazioni. Anche l’Autorità Nazionale Palestinese non è riuscita, agli occhi della gente, a conciliare i negoziati per la pace con la resistenza per costruire lo stato palestinese. Essere impegnati in negoziati non può significare fermare ogni manifestazione di resistenza. Resistenza non significa per forza rockets, razzi. Ci sono tante modalità di resistenza che secondo la legge internazionale sono pienamente legittime. Il punto è: come e quando arrivare ad uno stato palestinese. Questo è uno dei principali punti caldi con Hamas. I rockets non aiutano. Uccidono e hanno come reazione da parte di Israele l’uccisione di palestinesi e la confisca di terra. Tutto ciò distrugge, non aiuta la soluzione di due stati. Comunque, l’unico a beneficiare della divisione tra palestinesi è Israele.

Anche tu, come tanti, affermi che Hamas è utile per Israele. Tu eri a Gaza quando Hamas ha preso il completo potere: Israele ha aiutato in qualche modo Hamas?

Indirettamente sì. Almeno indirettamente perché non ho prove per dire altro. Hanno cominciato prima delle elezioni e ti spiego come: Abu Mazen è sempre stato contro i lanci di razzi contro la città israeliana di Sderot ed era stato eletto nelle precedenti elezioni con il 63% dei voti. Quello era il momento di trattare seriamente con Abu Mazen ma Israele non si è impegnato affatto. Israele e gli Stati Uniti non hanno affatto approfittato del momento, anzi. Israele ha continuato a costruire il muro, non ha negoziato con Abu Mazen. Sembra evidente che Israele vuole la Terra Santa e basta, senza i palestinesi. Porta avanti una sola politica: rendere i palestinesi tanto disperati da lasciare la propria terra, come praticamente è successo di recente a Hebron.  Per quanto riguarda Hamas, il problema è che non considerano la realtà sul terreno, sono presi solo dall’ideologia. Il problema di Hamas non è solo che non riconosce Israele. Se ci pensi bene, l’Autorità Nazionale Palestinese, nata dopo gli accordi di Oslo, riconosce Israele ma già il Partito di Fatah dichiara di poter riconoscere Israele solo dentro i confini precedenti il 1967. Il fatto che Hamas non riconosce Israele non è il vero problema. Piuttosto, il dramma è che non riconoscono l’evidenza dei fatti e non concepiscono una giusta strategia. Il punto importante è proprio quello di elaborare una strategia che porti alla soluzione dei due stati. L’operato di Hamas distrugge questa possibilità.

Tu non sei un politico ma fai parte del mondo dell’associazionismo palestinese…Ritieni che ci siano contatti in corso tra esponenti di Hamas e di Fatah per cercare di ritrovare un’unità?

Non credo che i leader stiano comprendendo che la priorità è ritrovare l’unità. Il problema è mettere insieme due politiche completamente diverse. I leader non stanno lavorando per questo. Ma dobbiamo ricordarci che non sono gli unici attori della scena. Protagonisti in Medio Oriente sono Israele, Stati Uniti, Siria, Iran, gli Hezbollah del Libano, l’Arabia Saudita, l’Egitto. Se parliamo di divisione, dobbiamo parlare di divisione del Medio Oriente e della comunità internazionale. Intanto, il popolo palestinese continua a sperare che un giorno i leader supereranno le differenze e troveranno un compromesso, ricreando un fronte comune, che sia sotto la sigla dell’OLP o di altro. Io preferirei l’OLP perché ha già una legittimità internazionale,  ma qualunque altra sigla andrebbe bene. Il punto è che tutta la partita non è solo in mano ai palestinesi. 

Qualcuno riconoscendo come legittimo il risultato delle libere elezioni, afferma che bisogna trattare con Hamas e non rifiutarlo come organizzazione terroristica. Secondo te, è possibile? Ci sono rischi?

Certo che ci sono rischi. Ma il punto è: perché non è stato detto e fatto subito dopo le elezioni? C’è stato un governo di unità nazionale e invece di aiutarlo hanno messo l’embargo. Trattare ora significherebbe  aumentare la divisione tra palestinesi. Tutti già si chiedono chi rappresenti i palestinesi. La comunità internazionale ora dovrebbe lavorare per rimuovere gli ostacoli che stanno di fronte ad Abu Mazen sulla via del negoziato e prima ancora sulla via del ritrovamento dell’unità. Se Abu Mazen dialoga con Hamas, Unione Europea e Stati Uniti tagliano gli aiuti economici, che significa il deterioramento della già difficile situazione in Cisgiordania. La comunità internazionale dovrebbe aiutare Abu Mazen a dialogare con Hamas, piuttosto che ostacolarlo, e nello stesso tempo dovrebbe anche fare seria pressione su Israele per il rispetto delle risoluzioni. Non credo che si voglia seriamente tutto questo.