Romano Prodi 2003

OGGI IN PRIMO PIANO

L’ALLARGAMENTO AD EST, L’UNIONE PER LA PACE, L’EREDITA’ DEL CRISTIANESIMO:
LE NUOVE SFIDE PER L’EUROPA
– Intervista con Romano Prodi, presidente della Commissione Europea –

Le prospettive di un’Europa a 25, le sfide in tema di pace, le radici cristiane del Vecchio continente. Sono alcuni dei temi affrontati questa mattina da Romano Prodi nell’intervista alla nostra emittente. Ascoltiamo innanzitutto la riflessione del presidente della Commissione Europea, Romano prodi, a proposito dell’allargamento dell’Unione. L’intervista è di Fausta Speranza.

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R. – Ritengo che l’Europa non sia completa se non comprende i Paesi che entrano adesso, più gli altri Paesi che stanno negoziando, e in un futuro i Paesi Balcani. Quindi, io vedo questo come necessario per la pace, ma lo vedo anche necessario per la prosperità futura di tutto il continente. Diventiamo un mercato unico, grande, solidale, il più grande mercato interno del mondo. Quindi, noi possiamo veramente avere una parola nella politica di domani, una parola di saggezza che mi sembra necessaria.

D. – In tutto questo, che peso hanno e potranno avere le divisioni emerse di recente all’interno dell’Unione, in particolare in tema di pace?

R. – Sono delle divisioni dei governi, ma sono una grande unità dei popoli. In tutta Europa i popoli hanno, in modo del tutto straordinario, del tutto imprevisto, dato il loro consenso ad una politica di pace. Non è una divisione profonda che abbiamo su questi temi, è una divisione tattica, una divisione politica, che quindi in un futuro può essere componibile. Bisogna tenere in Europa, non solo il futuro della nostra ricchezza, il futuro della nostra economia, ma anche il futuro della nostra sicurezza.

D. – Quale può essere e quale deve essere l’impegno dell’Italia nel prossimo semestre di Presidenza?

R. – Io credo che il compito fondamentale sia quello di coadiuviare alla messa in atto, alla conclusione della Convenzione, in modo da poter firmare il nuovo trattato nel semestre italiano. Spingere la nuova politica per il Mediterraneo e per i Balcani. Io credo che si siano fatti dei passi enormi, come abbiamo visto, verso i Paesi al di là della cortina di ferro. Adesso dobbiamo svolgere uno sguardo al Mediterraneo, che è sempre più povero, che è sempre in tensione crescente, e che si allontana da noi.

D. – Presidente Prodi, il Papa dalla Spagna ha lanciato di nuovo un appello, perché non siano abbandonate le radici cristiane dell’Europa. Da presidente della Commissione Europea che cosa risponde?

R. – Io ritengo che queste radici cristiane d’Europa siano fondamentali non solo per il nostro passato, ma siano fondamentali anche per il nostro futuro. Non vi può essere un’Europa che non tenga conto di che cosa il Cristianesimo rappresenti per il nostro continente. Ma la Commissione Europea, che è un organo politico, ha interpretato ancor prima della riforma dei Trattati questa necessità, impostando un dialogo permanente con le Chiese – dialogo che era stato richiesto dalle Chiese stesse – e che vede la Chiesa cattolica protagonista attiva, attraverso la Comece. E poi abbiamo deciso una consultazione preliminare con le Chiese, ogni volta che si debba prendere una decisione che riguardi l’ambito di interesse dell’attività delle Chiese. Quindi il dialogo strutturato con le Chiese da molti anni noi lo abbiamo già fatto. Inoltre lavoriamo per inserire il nuovo Trattato anche rispetto agli accordi delle Chiese con gli Stati nazionali, in modo da rispettare non solo le esigenze della riunione, delle libertà di riunione, delle libertà di associazione, ma anche le scelte delle singole Chiese nazionali nei diversi Stati membri. Noi riteniamo – io ritengo personalmente – che i valori a cui ha fatto appello il Papa siano veramente fondamentali per costruire e conservare l’unità del nostro continente.
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D. – Presidente Prodi, innanzitutto l’incontro con il Papa: a conclusione, in qualche modo – comunque, siamo vicini alla conclusione – del suo mandato alla presidenza della Commissione europea, e il giorno prima della firma del Trattato costituzionale. Che significato e che valore ha avuto?

R. – Due aspetti. Uno, evidentemente di commozione personale, e su quello non voglio dire nient’altro. Poi, c’è un aspetto politico che anche nel colloquio si è sentito molto: il grande momento dell’Europa che respira a due polmoni e che – anche se con problemi che tutti condividiamo, che tutti abbiamo sentito – si da veramente una regola per il futuro. E’ un’Europa stabile, è un’Europa che ha chiuso con Yalta, che ha finito con le tensioni … si è parlato proprio tanto di pace, di come i nuovi Paesi stanno arrivando, non solo la Polonia ma tutti; del clima che si deve creare, per la nuova Europa …

D. – Presidente, ci aiuti ad interpretare il voto di ieri al Parlamento …

R. – Ma … l’interpretazione seria, politica è una sola. Il Parlamento europeo ha voluto affermare la sua forza di fronte a quello che è il governo europeo, anche se i termini non sono precisi: si parla di Commissione, non di governo … Ma è un classico della democrazia: il Parlamento cresce, diventa consapevole della sua forza, e va considerato non per i poteri formali che ha, ma per il fatto che è un Parlamento! E d’ora in poi, il Parlamento europeo sarà un protagonista molto più forte, insieme alla Commissione, della vita europea. E quindi, gli Stati membri che in molti casi avevano sempre controllato il voto dei loro parlamentari, si sono trovati adesso di fronte ad un’evoluzione di straordinaria importanza nelle istituzioni europee.

D. – “L’Europa è aperta a tutti gli Stati che rispettano i suoi valori”: questo è il principio. Secondo lei, il Trattato costituzionale aiuterà a rendere più concreto il rispetto di questi valori?

R. – Sì, molto. Perché i valori sono ben chiari nel Trattato costituzionale. Certamente, anch’io avrei preferito, e ho lavorato attivamente perché ci fosse nel preambolo il riconoscimento delle radici storiche del cristianesimo e del giudaismo: questo non è stato possibile. Ma i valori di questa nostra religione sono veramente contenuti nella Carta costituzionale. Possiamo veramente pensare ad un’Europa – se legge l’articolo 1,4 – che ha questi principi come strumento di pace, come una nuova entità che si mette a servizio di un concetto molto diverso da quello tradizionale, del rapporto di forza tra Paesi, ma che regola i conflitti con un atteggiamento multilaterale, con l’uguaglianza tra i diversi Paesi che partecipano alla nuova Unione … è un superamento del concetto di “Stato moderno”!

D. – Dunque, le sembra che il Trattato costituzionale possa essere una scommessa di pace?

R. – Sì! E’ una scommessa di pace. E non è una scommessa: finora abbiamo mantenuto! Nel ’57 è stato firmato il primo Trattato di Roma; ci siamo allargati, successivamente. Mai, mai un conflitto all’interno dei confini dell’Unione. Tragedie, subito fuori dalla nostra porta. In questo senso, l’unificazione dell’Europa con l’allargamento, e quella già progettata verso Bulgaria e Romania e verso i Balcani, sono un’ulteriore garanzia di pace.

D. – Ecco, però lei spesso ha ricordato che l’Europa deve guardare anche oltre i propri confini. Dunque, questo Trattato costituzionale potrà aiutare ad evitare una crisi di divisione, come quella che c’è stata in tema “Iraq”?

R. – Questo no, purtroppo, perché la competenza in politica estera non c’è ancora e quindi, se domani ci dovesse essere un conflitto come quello iracheno, non c’è nessuna garanzia che non ci siano le stesse divisioni. Ma l’Europa si fa con la pazienza, ci vorrà qualche decennio per avere una politica estera comune, ma la via è segnata.

D. – “L’Europa è un’unione di minoranze”: è un’espressione che le è cara. In che modo si coniuga con l’esigenza di un’Europa ad una sola voce?

R. – Si coniugano proprio perché ognuno è in minoranza. Non c’è nessuno che imponga la propria voce agli altri. In minoranza si discute, si decide insieme e ciascuno contribuisce alla decisione. Ma nessuno la impone agli altri. Ed è questo il concetto nuovo dell’Europa. Per questo non sono soddisfatto dei punti in cui – come nella politica estera – si è mantenuta l’unanimità delle decisioni, perché in 25 Paesi, con il principio dell’unanimità, è difficile prendere delle decisioni, anzi: è impossibile!

D. – Presidente: euro, allargamento, Trattato costituzionale sono le conquiste più evidenti di questi cinque anni. Ce ne racconta qualcuna invece meno evidente e magari più sofferta?

R. – Io esco con la tristezza di non vedere messi in atto i progetti che avevamo messo in cantiere nel 2000 in campo economico, il cosiddetto “processo di Lisbona”, in cui avevamo detto – anche con molta gioia comune, no? – che insieme avremmo fatto una strategia per aumentare il gruppo economico, la ricerca, le innovazioni per diventare – era il nostro slogan – “la società più innovativa del mondo”. Sono passati quattro anni e in questo campo, proprio la mancanza di processi decisionali, l’obbligo dell’unanimità hanno fatto sì che le decisioni prese – ce n’erano parecchie, di buone decisioni, ma si era ancora troppo, troppo scarsi rispetto all’obettivo. E quindi, non siamo la società più innovativa del mondo. Lo dobbiamo ancora divenire.

D. – Ecco, però, parliamo proprio di Europa nel mondo: ci parla dei rapporti di partenariato che l’Europa ha avviato?

R. – E’ il nuovo capitolo: abbiamo definito i confini dell’Europa, l’allargamento è già fatto, quello verso la Bulgaria e la Romania è prossimo, il caso della Turchia, quindi i Balcani e poi i confini si fermano. Ma se l’Europa è un segnale di pace, deve attuare la politica già approvata – intendiamoci: già approvata! –, la cosiddetta “politica di vicinato”, cioè tutti i Paesi, dalla Russia fino al Marocco che sono vicini potranno – se vogliono – concludere con l’Europa uno strettissimo accordo, condividendo con l’Unione tutto, senza però far parte delle istituzioni europee, cioè senza diventare membri dello stesso Parlamento e della stessa Commissione, ma condividere unione doganale, trattati commerciali, regole economiche, cooperazione di polizia, di giustizia, regole dell’immigrazione … tutto quanto concerne la collaborazione più profonda. Ecco, è importante questo perché vuol dire estendere questa “infezione di pace” anche a Paesi che ne hanno tanto bisogno – pensi a Israele, alla Palestina, l’Egitto, i Paesi del Maghreb, l’Ucraina: pensi all’Ucraina, che è questa grande anima europea … Ecco, questo è l’ulteriore passo ed il compito dei prossimi decenni.

D. – Presidente Prodi, io avei voluto chiederle oggi, una volta fatta la valigia, se ci raccontava così, sottovoce, la sua voglia, l’intenzione di tornare indietro e di fare, altrettanto sottovoce, a qualche leader europeo qualche raccomandazione per il bene dell’Europa: non so se lei ha voglia adesso che ha fatto la valigia, ma l’ha anche disfatta …

R. – Sì, ieri è stata proprio una giornata incredibile, perché ho fatto proprio la valigia, ho chiuso casa – come si dice in termini popolari – ho disdetto i contratti della luce, del gas, l’abbonamento alla televisione, tutte le cose che si fanno normalmente; e poi come sono arrivato in ufficio è incominciato questo strano momento in cui siamo dovuti ritornare indietro, e adesso per qualche settimana dovrò rimanere a custodia delle istituzioni. Lo faccio volentieri, perché ci vuole continuità. Ma non ho proprio molti consigli da dare, salvo quello di prendere una lezione comune, che tutti dobbiamo prendere da questi avvenimenti, e cioè di considerare la nuova forza del Parlamento europeo.

D. – Ecco, anche qui: ancora presidente in carica della Commissione europea, ho un po’ più di difficoltà a chiederle se vuole commentare i grandissimi passi indietro – come lei stesso ha riconosciuto – che ha fatto l’Italia nella sua spinta europeista …

R. – Ma … sono cose che ho detto, e anche se dovrò rimanere ancora un po’ di tempo a Bruxelles, credo di non violare nessuno dei miei doveri se ripeto che in parecchi momenti è mancata una forte spinta europeistica che era nella tradizione italiana, secondo cui l’Europa ha sempre fatto parte del nostro DNA, ha sempre accompagnato i nostri successi … A volte sembra come mancare fede in questa realtà, sembra che qualcuno possa pensare che l’Italia possa fare da sola. Ecco, io credo, sono convinto che siano stati soltanto momenti passeggeri e che ritorni la grande politica italiana, di essere la spinta dell’Europa. Anche perché poi è difficile vedere guadagno e ricompensa da una politica diversa: è molto difficile. Io non ne vedo e non ne ho visti!

D. – Un esempio concreto?

R. – Un esempio concreto … ce ne sono … i più evidenti sono nel campo della cooperazione giudiziaria, sono nella spinta verso il multilateralismo, sono anche nello spingere nel campo della cooperazione economica che è interesse dell’Italia vedere più stretta, più forte, proprio perché altrimenti noi perdiamo contatto con il nuovo, con il nucleo forte del progresso del nostro continente. L’Italia, nella sua storia, ha sempre avuto due aspetti: uno, di essere parte dell’Europa più avanzata, del nocciolo duro dell’Europa, e l’altra, della difficoltà di essere periferica. Ecco, noi non possiamo assolutamente permetterci di diventare un Paese periferico, dobbiamo fare in modo che anche la periferia, soprattutto il nostro Mezzogiorno, diventi un punto centrale della politica europea. E ne abbiamo le possibilità, perché con lo sviluppo dell’Asia, il Mediterraneo è tornato – dopo quattro, cinque secoli – centrale e, se non siamo matti, dobbiamo capire che si possono rovesciare tante cose. I punti di arrivo del mondo che si sviluppava, che erano Amsterdam, Londra, adesso, attraverso Schulz, dall’Asia vengono verso il nostro Mezzogiorno. E allora, dobbiamo prendere noi l’iniziativa di legare l’Europa all’Asia. Questo è il nuovo, grande compito dell’Italia.
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6 maggio 2003