Il “grande esule” ha trovato una patria in tutto il mondo

Il “grande esule” ha trovato una patria in tutto il mondo
di Fausta Speranza

Il profondo misticismo, l’amore per la donna, l’incrollabile fede:  sono queste le ragioni della passione nutrita nei confronti della poesia di Dante dalla giovane letterata Farideh Mandavi Damghani che ha aperto quest’anno la rassegna La Divina Commedia nel mondo, a Ravenna. La quarta edizione si è svolta come di consueto nella Basilica di San Francesco, negli ultimi tre venerdì di settembre, e ha riscosso  proprio il consueto successo.  Mai come in questo momento avvertiamo che esigenze e realtà del mondo più lontano si fanno urgenti e vicine e che la nostra realtà deve aprirsi a comprendere altro. Non possiamo sottrarci a un incontro tra culture e popoli e abbiamo il dovere di fare di tutto ad ogni livello perché sia confronto e non scontro. Mai come quest’anno ascoltare l’eco che la poesia di Dante suscita in altri paesi e in altre culture è stato fonte di profonda speranza. “Nati non foste a viver come bruti ma per seguir vertute e conoscenza”: è un famoso versetto del sommo poeta che ha riassunto, in un viaggio fantastico e straordinariamente vero, la parabola dell’essenza umana e spirituale dell’uomo alla ricerca di se stesso e del valore di se stesso. La speranza, dunque, è quella che nell’uomo di oggi, sotto ogni latitudine, prevalga il desiderio di ricercare tale valore, nel rispetto delle differenze culturali.   Dopo la serata dedicata alla lettura comparata in italiano e persiano, nei due appuntamenti successivi,  il viaggio sulle orme dell’Alighieri ci ha portato in Ungheria e in Spagna. In questi due casi le versioni riproposte appartengono a due illustri poeti scomparsi, rispettivamente per l’Ungheria  Mihaly Babits, morto nel 1941, e per la Spagna Angel Crespo, morto nel 1995. Come sempre a condurre la conversazione che precede la lettura comparata di un canto, sono stati chiamati i più autorevoli esperti in materia. Ecco dunque, l’introduzione del persianista Angelo Michele Piemontese dell’Università di Roma, poi, per la seconda serata, l’italianista Jozsef Pal dell’Università di Szeged e dell’italianista-magiarista Peter Sakozy dell’Università di Roma-Budapest. Infine, l’ultimo appuntamento ha visto la partecipazione dell’ispanista Gaetano Chiappini dell’Università di Firenze, dell’ispanista e comparatista Pilar Gomez Bedate Crespo dell’Università di Barcellona e dell’italianista Isabel Gonzales Fernandez dell’Università di Santiago de Compostela. Il loro prezioso contributo ha permesso ai partecipanti di conoscere qualcosa dell’accoglienza di Dante in ciascun paese e, soprattutto, degli elementi più caratteristici di tale accoglienza. Non si tratta solo di curiosità letterarie ma di spiragli di comprensione che raccontano molto della ricchezza culturale e letteraria di un paese.  Tra tante differenze tra la nostra vita quotidiana e quella del suo popolo, una donna come Farideh, che vive a Teheran, capitale dell’Iran, e che nasconde i capelli sotto il velo, ci invita a capire quanto possano  insegnare alla sua gente il profondo misticismo, l’amore per la donna e l’incrollabile fede di Dante. E’ un preziosissimo stimolo a riscoprire qualcosa che ci appartiene ma che a volte dimentichiamo. La cultura è anche la capacità di riconoscere il senso più profondo e più vero delle parole e ci conforta l’attenzione alla parola misticismo. Ci conforta pensare che  può essere recuperata, dunque, in ogni tempo, riscoprendo che l’uomo che ama l’uomo rispetta il misticismo ma rifugge dal fanatismo religioso o da una scarsa considerazione della vita. Il fanatismo religioso fa sì che ancora oggi i Talebani compiano comportamenti disumani in nome di dio,  ma le migliaia di morti ogni anno sulle nostre strade, in particolare le giovani vite spezzate per una corsa di notte verso una discoteca, nascondono una scarsa considerazione della vita che ancora non ci inquieta come dovrebbe. Sono solo esempi della nostra realtà che non può essere un’altra faccia della medaglia rispetto alla cultura ma dovrebbe nutrirsi del bagaglio di umanità che appartiene alla letteratura.  “Un uomo che ha goduto di buona fama non morirà”, ha affermato Farideh ricordando le parole di un poeta persiano.  E’ anche per questo che lei ha caparbiamente voluto pubblicare la sua traduzione completa in lingua persiana della Divina Commedia. Si tratta di tre volumi, che raccolgono anche molti commenti dei più illustri dantisti, e che soprattutto rispettano la terzina dantesca, mentre la traduzione precedente riassumeva  in prosa i versi di Dante. Un uomo che ha goduto di buona fama, dunque, non morirà nemmeno in Iran nonostante che abbia messo all’Inferno proprio Maometto. Anche questo è fonte di speranza in questo inizio secolo segnato dall’affacciarsi della spettro della guerra.  Farideh ammette che non ha potuto tradurre i versi di Dante relativi a Maometto, perché la religione musulmana non lo permette, però ha spiegato ai suoi lettori il significato di quelle terzine mancanti e cioè le critiche, magari esasperate, di Dante. Il coraggio di Farideh che non pubblica in un paese che rispetta la libertà di espressione è il coraggio, in questo caso sofferto come è sofferta la situazione in Iran, di uscire dalle proprie sclerotizzate certezze. Un coraggio che sempre la letteratura chiede a chi voglia avventurarsi in ciò che l’uomo di ogni tempo e di ogni luogo ha vissuto e espresso. Un coraggio da riscoprire anche  difendendo la riflessione dalla velocità e dalla banalità della nostra epoca. L’immagine del vagare di Dante tra Inferno, Paradiso e Purgatorio è sempre l’immagine di un uomo che varca confini difficili da varcare, cercando di imparare a vivere e a morire.

del 25 settembre 1999